Che tutto inizi con un tramonto non è, forse, propriamente un caso. Il cielo sopra San Siro sempre più blu notte, pronto a lasciar spazio ad una luna che pian piano sparisce dal radar delle tribune, e i riflettori per stasera puntati un po' più in là, in basso e alla destra del cerchio di centrocampo. Dove per l'ultima volta, almeno a Milano, Francesco Totti ha vissuto gli ultimi istanti da capitano (tra campo e panchina) della sua Roma, destinato a restare nell'eternità di un mondo del calcio che mai, e in special modo dalle parti del Colosseo, potrà dimenticarlo.
Si parte dal tramonto, già: quello che ha lentamente accompagnato Totti negli ultimi mesi della sua carriera professionistica, tra incomprensioni con Spalletti, tanti minuti fuori dal campo e voglia di dimostrare di essere ancora utile al suo unico, grande amore. Un pizzico di delusione a macchiare, solo lievemente, una carriera da protagonista assoluto, che mai avrebbe voluto concludere così: fine incapace di rendere merito a chi, anche sul terreno del "Meazza", ha saputo regalare capolavori assoluti. Dipinti oggi da El Shaarawy, per il secondo anno a segno da ex, e soprattutto da Dzeko, tornato momentaneamente dominatore della classifica cannonieri.
Eppure, al di là dell'1-4 finale, l'attenzione dei 54mila di San Siro è stata tutta per lui. Francé, l'Ottavo Re di Roma, osannato da un popolo del quale è sempre stato rivale, nel più profondo e costante rispetto: quel tifo rossonero che, se non fosse stato per il "no" di mamma Fiorella ai dirigenti del Milan piombati a casa Totti nel lontano 1989, avrebbe già potuto abbracciarlo a 13 anni. Questione di cuore e colori: guai a separarsi da casa, nemmeno nel 2003 e di fronte alle sirene del Real Madrid. Decisione che gli ha permesso di essere, ancor di più, ciò che è stato, simbolo di una generazione con due colori indelebili tatuati sul cuore: e già all'annuncio delle formazioni, ecco dieci secondi abbondanti di applausi scroscianti e standing ovation per un'ultima (sperata) volta in campo a Milano. Che tuttavia, 90 minuti dopo, non sarebbe mai arrivata…
Sensazione pessimistica in crescendo, minuto dopo minuto, divenuta momentanea certezza dopo l'1-2 di Pasalic: prima El Shaarawy per un acciaccato Perotti, poi Grenier per Nainggolan. E se il gol del grande ex di turno sembrava poter aprire uno spiraglio per gli ultimi 12 minuti in campo a San Siro, ecco il cambio che non ti aspetti: Bruno Peres per Dzeko e… per il sorriso sornione di Totti. Impassibile, in panchina, anche di fronte all'ultima occasione mancata di poter ricevere il meritato tributo da un pubblico tutto dalla sua: da una parte all'altra, come un eco. Prima lo striscione della Curva Sud, volto ad omaggiarlo, poi il coro dal settore ospiti: "C'è solo un Capitano". Applaudito, eccome, da uno stadio deluso sì da una partita senza storia, per un ultimo rigore segnato da De Rossi (che, beffa vuole, avrebbe potuto proprio realizzare Totti). Ma soprattutto da un mancato, ultimo saluto sul campo ad un campione eterno, capace di lasciare lo stadio tra selfie e sorrisi, comunque vada e sia andata. In un tramonto oggi un po' più triste su Milano, e su un campo che Totti non illuminerà più. Tra magie al volo e su punizione che resteranno sempre negli occhi di un pubblico rivale che, per l'ultima volta (indirettamente) oggi, ha voluto inchinarsi alla grandezza di una leggenda.