Non si era ancora messo la sciarpa del Valencia al collo che aveva già da ridire. “Questo campo è troppo secco”. Poco prima di partire per il ritiro estivo ha preteso che il club cambiasse l’azienda che, durante la stagione, fornisce quotidianamente gli alimenti ai giocatori. “Questa verdura non va bene”. Puntiglioso, ai limiti del maniacale. E non è un caso che in Spagna, Marcelino Garcia Toral, sia considerato l’allenatore ‘pesado’ per eccellenza, il classico che vuole avere tutto sotto controllo, tutto, comprese le dichiarazioni dei suoi giocatori. In estate, uno dei suoi si è azzardato a rivelare alla stampa che ‘l’obiettivo stagionale è il ritorno in Champions’. Marcelino l’ha presa discretamente male: ragazzo convocato nel suo ufficio e… ‘che non succeda mai più’. Ecco, questo è Marcelino: un ‘pesantone’ che però vince e ora è secondo in Liga dietro al Barcellona.
L’asturiano ha cambiato il Valencia. Lo ha preso in panne, dopo un 11.o e 12.o posto, e lo ha trasformato in una macchina perfetta, capace di completare il miglior avvio in campionato della sua storia: 7 vittorie, 3 pareggi e nessuna sconfitta. Alla base tanto lavoro, soprattutto fisico. A differenza di molti allenatori spagnoli, per lui è fondamentale ‘el gimnasio’. La palestra. Prima di quasi ogni sessione di allenamento, Marcelino spedisce i suoi giocatori lì per minimo un’ora. Tradizione tipicamente italiana. E poi certo, ognuno deve trovarsi nel suo peso forma ideale, dettaglio assolutamente imprescindibile. Fattore dieta. L’obiettivo è ridurre il grasso e fortificare la resistenza fisica: ecco perché da quest’anno il club ha ingaggiato un nutrizionista che segue passo passo pranzi e cene dei giocatori. Ecco perché da quest’anno, il Valencia, non mangia più tanto per mangiare, ma solo poche cose e ben distribuite: pasta integrale, riso, verdure. Tanto da ‘disegnare persino gli addominali’, parola di chi ci è passato. Il Valencia spesso pranza e/o cena nel centro sportivo, tutti insieme, per far gruppo, e poi completa i pasti a casa con porzioni specifiche: qualora doveste incontrare Neto, Zaza o Guedes con un tupperware di plastica sotto braccio, poco fuori Paterna, sarebbe tutto normale. Consuetudine made by Marcelino Garcia Toral.
Ma i meriti di questo avvio da record non sono solo suoi. Anzi. Marcelino più altri 9, ovvero i suoi collaboratori, gli stessi da una vita. Su tutti Rubén Uría, il secondo. E Ismael Fernández, il preparatore fisico. Nello staff anche suo figlio - un po’ come lo aveva Prandelli - che si occupa della parte atletica. E’ stato giocatore e sa cosa significa tenere viva tutta la rosa ogni settimana: non rivela mai la formazione che giocherà titolare nel weekend dopo la partitella del giovedì. Tutti indispensabili e sulla corda fino all’ultimo ma alla fine i protagonisti sono sempre loro: "Ringrazio la squadra, io ho fatto solo l'1% di tutto questo" ha detto dopo l'ultimo trionfo. E' un grande motivatore. Uno che vive di calcio e vive i 90' della partita come se dovesse giocarli: quest'anno, per esultare a un gol di Zaza, si è pure stirato. Fedele al 4-4-2 con una spina dorsale tutta ‘italiana composta da Neto, Kondogbia e Zaza. Non parla molto, preferisce osservare e studiare ogni minimo dettaglio. I consigli li chiede solo a Rafa Benitez, allenatore che a Valencia è diventato una leggenda. I due sono colleghi ma anche grandi amici: quando Rafa allenava il Liverpool, Marcelino era senza squadra e spesso volava da lui per seguire (e imparare da) i suoi allenamenti.
Si scrive Marcelino ma si legge Marselino. Spagnolo, asturiano come Luis Enrique. Ergo: un tipo dal carattere forte. Molto forte. Che ti dice le cose in faccia. Tanto da venire alle mani con Musacchio ai tempi del Villarreal. Quelli, altri tempi. Come quando sembrava dovesse allenare in Italia, all’Inter. Ricordate? Lo ha ricordato lui stesso, di recente, alla Gazzetta: "Andammo a Milano e facemmo due riunioni tecniche. Dopo la seconda eravamo sicuri del fatto che avremmo allenato l’Inter. E invece tra le 23 del sabato e il mezzogiorno della domenica le cose cambiarono. In 13 ore la nostra candidatura perse energia”. Ma adesso è felice a Valencia. Dove il campo viene bagnato quasi ogni giorno e la verdura che mangiano Parejo e compagnia è ‘quella buona’. Dove, soprattutto, è tornata la voglia di fútbol. Anche grazie a lui.