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Data: 06/05/2016 -

Il ritratto di Roberto Chiappara: “La Serie D è un mondo a parte, pronto per una nuova sfida”

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Giampaolo, Sarri, Conte, Delneri, Pillon: non è il festival degli allenatori ma l’elenco in ordine sparso di chi – a sua insaputa – ha forgiato il carattere e le idee di Roberto Chiappara, anni 42, ex calciatore dal curriculum ricco ed ora allenatore emergente. La Serie D è il suo terreno fertile, il campo d’allenamento dove ogni giorno cresce parallelamente ai giovani che allena. Anzi, che fa maturare: “In questa categoria non conta il modulo, ma i concetti di gioco. Inglobare un ragazzo in uno schema tattico sarebbe riduttivo. Non bisogna limitarli, i giovani: vanno fatti crescere, giorno dopo giorno”. È un po’ questa la sua filosofia di vita, la lezione più bella che ha imparato a memoria ad Ostia Mare, Girone G, società seria dalla spiccata sensibilità verso la linea verde: “Lo scorso anno l’obiettivo erano i play-off e li abbiamo raggiunti, quest’anno mi è stato chiesto di puntare sul settore giovanile ed abbiamo vinto la classifica dei giovani che ha fruttato alle casse societarie 25mila euro. È stata una bella soddisfazione, ma…”.   I punti sospensivi colorano il ponte tra il suo presente ed il futuro ancora tutto da scrivere: “Per un allenatore le motivazioni sono tutto. Vivo di questo, mi nutro di obiettivi. Vorrei crescere e mi sento pronto per una nuova sfida”. Il passato è il vero garante di Chiappara: nel 1998 ha esordito in Serie A con la maglia dell’Empoli, contro la Roma, e da allora ha girovagato in cerca di nuovi stimoli - appunto - imparando da ogni suo allenatore segreti e trucchetti per ben figurare ai margini dello stesso campo che ha percorso per anni. Ma la gavetta è stata un peso? “Ammetto che ne avrei fatto volentieri a meno”, ride. Poi smette e torna serio, ricordando il suo debutto (era il 2011) in panchina alla guida dell’Atletico Roma: “Se avessi vinto i play-off contro la Juve Stabia mi sarei ritrovato subito in Serie B. Oggi, però, posso dire con certezza che ne è valsa la pena. La D è un mondo che non conoscevo, sono in questa categoria da cinque anni ma è come se fosse passato molto più tempo: sono più ricco, più me stesso”.   Se stesso… cioè? “Un allenatore che non fa solo l’allenatore. Certo, esistono i moduli, le partite, gli allenamenti. Ma è l’aspetto umano quello che più conta. Abbiamo il dovere di entrare nell’anima dei ragazzi, soprattutto dei più piccoli. Se ci riusciamo, allora possiamo chiedergli ed ottenere qualsiasi cosa da loro”. Chissà cosa gli avranno chiesto Antonio Conte e Maurizio Sarri nella stagione 2006/07 ad Arezzo, in Serie B: “L’avventura di Conte non iniziò alla grande. Dopo sei giornate raccogliemmo cinque punti e, data l’iniziale penalizzazione di -6, eravamo ancora in negativo. Fu esonerato e al suo posto arrivò Sarri…”. Passaggio del testimone di prestigio tra due allenatori che si son fatti in seguito e che ora rappresentano l’élite calcio italiano. Chiappara, che ha avuto la fortuna di conoscerli, riserva per entrambi elogi e retroscena degni d’esser raccontati: “Neppure Sarri si presentò benissimo. Ci costrinse a dipingere le nostre scarpe colorate con lo spray nero per la sua scaramanzia. E poi fumava, fumava tanto e fumava sempre, dappertutto. Sia nello spogliatoio che nella sala video, laddove imparavamo tutto dei nostri avversari”.   In un attimo si entra nel personale: “Il giorno prima della mia cessione al Novara, a gennaio, Sarri mi chiamò nello spogliatoio e mi rivelò che tutte le volte che mi aveva schierato aveva rischiato l'esonero perché il presidente gli chiese di non farmi più giocare. Me lo disse scherzando, ma era una cosa seria: ecco, questo è Maurizio Sarri. Una persona sincera, schietta, umile. Un gran lavoratore. In questo momento è il più forte di tutti. Ma avete visto l’Empoli? Il vero miracolo è stato fatto lo scorso anno con giocatori sconosciuti, non quest’anno a Napoli, con dei campioni. Di lui ammiro il voler lavorare sempre con la palla ed il suo rapporto con la squadra: Sarri ti entra in testa e lo fa in modo diverso con tutti, perché ognuno ha la propria identità, differente dall’altro”. E il primo Antonio Conte, che allenatore era? “Trasmetteva sicurezza perché era stato un campione da calciatore. Aveva personalità, ci ha conquistato col suo carattere ma pagò l’assenza di risultati di quel periodo. Mi sono divertito tanto con i suoi allenamenti innovativi, oggi sta dimostrato di essere un “top” della categoria”. Di questi ed altri ricordi Roberto Chiappara compone la sua giovane carriera da allenatore. Un po’ Conte, un po’ Sarri: da ognuno il minimo, da se stesso il massimo.   A cura di Fabio Tarantino - @FabTarantino_19  

Tags: Serie D



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