Il primo amico, il primo modello, magari anche il primo supereroe. Soprattutto, però, un padre. E quell’ammirazione così affettuosa e viscerale si trasforma spesso in desiderio di emulazione. Per condividere quella passione comune, vivere un’unione più forte, sentirsi ancora più legati. Un processo quasi fisiologico, che ha attraversato anche l’infanzia di Matteo Mandorlini, calciatore del Padova e figlio di Andrea, attuale allenatore del Genoa. “E’ stato tutto così naturale, d’altronde crescendo in una famiglia del genere era inevitabile che nascesse in me la voglia di seguire le orme di mio padre. Quando ero bambino, guardavo insieme a Davide (il fratello, anche lui calciatore, ndr) le videocassette della sua Inter” racconta il centrocampista a gianlucadimarzio.com, in occasione della Festa del Papà. E chissà se c’è anche per lui un futuro in panchina: “Non mi dispiacerebbe, anche se è un po’ presto per pensarci. Però alla fine non mi sorprenderebbe, è il mio mondo e con papà che allena sono già abituato ad alcune dinamiche del mestiere”.
Tuttavia, il peso di un cognome così importante può facilmente rappresentare un ostacolo, nella formazione e nella crescita del calciatore. Certi pregiudizi potrebbero risultare duri da sconfiggere. Matteo ricorda così i suoi primi calci: “Ci si aspettava sempre qualcosa, spesso si giudica prima di vedere il giocatore e questo può dar fastidio. Alla fine però si fa l’abitudine a tutto questo, anche perché l’ultimo giudice resta il campo ed è l’unica cosa che conta”.
Padre allenatore, figlio giocatore: difficile viversi nel quotidiano, considerate le distanze. “Non mi pesa la lontananza, perché abbiamo un rapporto meraviglioso. Abbiamo l’abitudine che quando coincidono i giorni liberi, ci raduniamo tutti” ha spiegato Matteo. Ma come si vive un fine settimana nella famiglia Mandorlini? “L’in bocca al lupo ce lo facciamo soltanto per le gare davvero importanti. Papà raramente viene a vedermi giocare, ma quando riesce non me lo dice: mi fa le sorprese, me lo trovo dinnanzi dopo la partita, sostiene che così non sento la pressione di saperlo in tribuna e gioco serenamente”. Tuttavia, non è questo il caso più frequente: “Quando non siamo insieme, appena finisco di giocare lo chiamo, per fargli sapere com’è andata e ci raccontiamo le nostre partite”. Il destino li ha fatti anche scontrare: era la stagione 2011/12, Andrea sulla panchina del Verona e Matteo in campo col Brescia. “E’ stata un’emozione incredibile, un abbraccio che ricorderò”. Un momento che, soltanto grazie al calcio, può diventare così speciale.