Il paradosso di Correa è tutto in Lazio-Milan. Gioca bene ma scivola nelle gerarchie, sembra in rampa di lancio e rimane fuori. Non tocca un pallone per mezz’ora e alla fine la decide. E’ tutto e il contrario di tutto. Quando te lo aspetti dal 1’ parte dalla panchina, quando pensi che abbia imbroccato una partita storta tira fuori la rasoiata allo scadere. E fa esplodere l’Olimpico. In una partita strana: prima dominata, poi scivolata e via riacciuffata dal lampo del ‘Tucu’ in versione diesel. Col Milan è entrato impacciato, non la solita furia. Nascosto tra le maglie rossonere ha trovato la luce solo all’ultimo respiro. Giusto il tempo di pareggiare una partita vitale, per tanti motivi.
Una sconfitta con il Milan avrebbe rallentato la corsa Champions e acuito il ‘mal di big’, la stilettata di Correa ha spazzato via tutto: i mugugni dell’Olimpico e le ansie di un’altra stagione in rincorsa. Il gol di Kessie ha spaventato la Lazio, il colpo da biliardo del Tucu ha sistemato le cose. E ora chi lo toglie più dal campo? Ma questo era già stato detto, alla fine però te lo ritrovi lì, in panchina, ad aspettare il momento giusto per spaccare tutto.
Sembra un’ingiustizia, ma fa parte del grande piano di Inzaghi. Una mossa studiata, frutto di lavoro e intuizione. Il messaggio sembra chiaro “entra e risolvi la partita”: destinatario Correa, che accetta e dà l’anima. Prima Felipe Anderson, ora l’argentino: l’arma letale di Inzaghi parte dalla panchina, è sempre così. Quando entra fa sempre bene, lo dicono i numeri: 3 gol in 400 minuti in campionato, che equivale ad uno ogni 120. Ossia quasi una rete a partita, numeri importanti per un esterno d’attacco. El Tucu versione Champions regala un’altra settimana al quarto posto alla Lazio e si conferma l'arma letale della squadra biancoceleste.