“Ma perché non fai il modello?”. Gli dicevano così, ma figurati se lui, Rolando Bianchi, ci potesse anche solo pensare. Il calcio, solo quello. Da quando? Da sempre. “Ero piccolo e giocavo dentro casa con mio fratello”. Da Albano Sant’Alessandro, Rolly non si è più fermato. E, in mezzo, una storia bellissima: la storia, con la maglia del Torino. Gol, sudore, la Curva Maratona che intona il suo nome. “Piano, per favore. Ho i brividi”.
Lui non gioca semplicemente a calcio, lui segna. Sempre, o quasi, più di tutti. Niente segreti, nessun talento fuori dal comune. Solo tanto lavoro. “Quando gli altri rientravano negli spogliatoi, io rimanevo in campo ad allenarmi da solo”. Goleador e guerriero. Non si accontenta, vuole sempre di più. Lotta per ogni centimetro. E poi lì, ad esultare. “Mi piace regalare emozioni”.
Finalmente è tornato in Italia, ci mancava: “L’esperienza al Mallorca è stata bellissima, fondamentale. Ho conosciuto anche Rafa Nadal, suo zio era il nostro direttore sportivo – racconta Rolando Bianchi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com. Poi, mentre stavo sul terrazzo di casa mia a guardare il mare, mi squilla il telefono. Era il Perugia, ci penso un attimo. Dico ‘no grazie’, sto troppo bene qui. Allora, mi chiama il presidente Santopadre e dopo un po’ mi convince. Sono felice di essere tornato in Italia, qua ho trovato un grande gruppo. E soprattutto degli esterni, Lollo (Del Prete) è fantastico, che mi servono alla perfezione…come non accadeva da tre anni (ride). L’obiettivo? Proviamo a fare l’impresa, ad andare in Serie A. Gliel’ho detto ai miei compagni: nel calcio si ricordano di te solo se vinci. Quando vado a Reggio la gente ancora mi ferma per strada…”.
A Torino, invece, non lo fermano più per strada. Lo adorano e basta. Che ricordi! Cambia voce Rolando, emozionata, commossa. Si ferma un attimo, ci pensa e poi… “Nelle mie vene scorre sangue granata. A Torino ho lasciato il cuore, sentivo la Curva Maratona cantare e tremavo. E’ una piazza unica, io sono granata al 101 % e quando mi sono tolto quella maglia lì, mi sono tolto l’anima. Ci sono stato male, ci ho sofferto perché io amo il Torino alla follia. Torino è storia e passione. E’ sangue e sudore. Lì non conta se sei Maradona, conta dare tutto in campo. Quando sono arrivato in granata, i capi-ultrà mi fischiarono subito, al primo allenamento. Non gli era andata giù il fatto che l’anno prima avessi scelto la Lazio e non il Toro.
Così, Jimmy Fontana mi chiama e mi dice, ‘vacci a parlare’. Subito. ‘Rolando noi quella cosa lì ce la siamo legata al dito, ora devi partire da zero e conquistare tutti’. Ci sono riuscito io e ci sono riusciti loro. La persona che più di ogni altra mi ha fatto amare il Toro è ‘Tony il Magazziniere’. Mi ha fatto capire cosa vuol dire vestire la maglia granata”. L’addio, una brutta botta. Bologna, qualche altra esperienza. La testa però è ancora lì, a Torino. E poi anche i problemi fisici.
Ma Rolando è un leone, non molla. La Spagna, “volevo imparare la lingua e poi adoro Ibiza”, ora di nuovo l’Italia. Gol e sudore sempre, menomale che doveva fare il modello. “Ricordo ancora quando giocavamo a calcio dentro casa con mio fratello. Un giorno venne il poliziotto del paese e mia madre gli disse, ‘per favore portali all’oratorio che qui mi rompono tutto’. All’oratorio piangevo sempre: mi allenavo più di tutti gli altri, ma non potevo giocare perché ero troppo piccolo. E, allora un giorno, il mister disperato per l’ennesima sconfitta mi fa: ‘Dai Rolando entri il secondo tempo con il cartellino di tuo fratello’. Entro e gliene segno dubito due, mica male”.
Ragazzo tranquillo, col sorriso, gli hobby? “Il nuoto e poi ascoltare musica. Mi faccio minimo venti vasche (ride). Ah, gioco anche a golf, sono pure abbastanza bravo”. Ricordi, emozioni e aneddoti. I tifosi del Perugia se ne sono già innamorati, dopo appena due partite. Lotta e segna, basta questo… Le Chanson de Roland!