Metà dicembre. Pochi giorni a Natale. Aurelio Andreazzoli si trova nella sua casa a Massa. È disoccupato e non ha nessuna richiesta particolare da mettere sotto l’albero. A novembre ha compiuto 65 anni, età di bilanci e di certezze. Pochi mesi prima ha chiuso il rapporto con la Roma. Dodici anni a lavorare nell’ombra, a parte quei cento giorni del 2013: Zeman esonerato a febbraio, Aurelio traghettatore. Acque agitate, eppure le onde si calmano. Dal nono al sesto posto, vittoria contro Juve alla prima all’Olimpico e finale di Coppa Italia. Contro la Lazio, il 26 maggio. Terra o mare. Com’è andata, lo sapete: Lulic al 71’ è ancora scritto sui muri della Capitale. Naufragio, fine del viaggio.
Andreazzoli trova una scialuppa e rientra a Trigoria. Ritorno al passato, come nel 2005, quando è arrivato al seguito di Luciano Spalletti, l’allenatore che due anni prima l’aveva strappato alle serie minori toscane per portarselo a Udine. Per quasi dieci anni, tra il Friuli e Roma, sono stati una cosa sola. Appiano Gentile avrebbe potuto essere la loro casa, ma a volte il destino fa altri giri. Martusciello, allenatore dell’Empoli nella scorsa stagione, diventa il secondo di Spalletti. Aurelio resta a piedi o magari in bici. Su e giù per la Lunigiana, Finché un giorno, squilla il telefono. È Fabrizio Corsi, presidente dell’Empoli. Ha parlato con Spalletti e ha ricevuto un suggerimento. Non è una compensazione, ma una ferma convinzione.
C’è una squadra da riportare in Serie A e giovani da valorizzare. Vincenzo Vivarini ci sta provando, ma non convince. Dopo 19 giornate, la squadra è al quinto posto e non brilla. La classifica è corta, ma il tempo corre. Il solido 3-5-2 dell’ex collaboratore di Sarri a Pescara funziona, ma mette un po’ in ombra il talento individuale. Peccato estetico e pratico, perché Empoli è un laboratorio di calcio ma anche una bottega. Occorre una svolta. Dopo il pareggio di Cremona, Vivarini viene esonerato. Andreazzoli accetta la sfida. Ha due missioni: vincere il campionato e rifare la vetrina. Quasi tre mesi e dieci partite dopo, il campo parla. Toscani primi da soli, sette vittorie e tre pareggi con il massese in panchina. La forza tranquilla al potere. Ma più che l’aspetto psicologico, Aurelio porta una nuova idea di calcio. Cambia il modulo e l’approccio. Il suo 4-3-1-2 combina estetica e praticità. La squadra gioca sempre la palla: grande possesso e ottima tecnica individuale al servizio di Caputo e Donnarumma, 36 gol in due. Zajc, ripescato e rigenerato, alle loro spalle a rifinire il lavoro avviato da Castagnetti, Bennacer e Krunic.
La primavera a Empoli è sbocciata prima del tempo e chi segue gli allenamenti ogni giorno può testimoniarlo. “I metodi di lavoro sono cambiati. Partitelle a due tocchi, il pallone sempre protagonista. I giocatori si divertono e gli allenamenti ricordano un po’ quelli di Sarri”. A raccontarcelo è Angelo Briganti. Fa il macchinista sui treni ad alta velocità, ma quando si ferma, segue con altri amici la quotidianità dell’Empoli. Lo fa dal 1987 ed è una vera enciclopedia calcistica. I maestri in quella terra non sono mai mancati. “Sarri mi chiedeva sempre di dirgli qualcosa che non fosse scritto sui giornali. Abbiamo avuto un rapporto meraviglioso. Un istintivo alchimista che ci ha divertito e continua a farlo. Qui siamo di bocca buona, per questo ci piace questo Empoli. Sembra una squadra di calcetto a 11”.
Angelo gongola ma riconosce anche, come del resto la società toscana, la qualità del lavoro del predecessore di Andreazzoli. “Dopo la tragedia sportiva dell’anno scorso, c’era bisogno di una figura rigida che fosse capace di ricostruire un ambiente distrutto. Vivarini ha fatto in pieno il suo dovere in quei 5 mesi. Ha normalizzato lo spogliatoio e portato le sue idee. Lavorava tanto sulla verticalizzazione e le doti di palleggio dei singoli sparivano”. Zajc, tre gol e sette assist, da rincalzo a trequartista titolare, simbolo di questa rivoluzione tecnica. “Insieme a Castagnetti da play e l’acquisto di Maietta a gennaio”, incalza Angelo. Perché è vero che la squadra capolista si difende soprattutto tenendo palla, ma l’arrivo dell’ex centrale del Bologna “ha risolto un bel po’ di problemi. Dà una sicurezza al reparto che si tocca con mano”.
Possesso palla e attenzione individuale. Nelle dieci partite di Andreazzoli, il tabellino dice 25 gol fatti e 8 subiti. Un bel cambio di marcia rispetto ai 37 segnati e 29 incassati nelle prime 19 gare. “Il segreto non è nei gol di Donnarumma e Caputo, ma nel lavoro che fanno per la squadra. Il loro atteggiamento aiuta molto ‘nonno’ Aurelio”.
Angelo lo chiama così, con affetto, riconoscendogli doti tattiche e psicologiche speciali. “Spesso in settimana, prende un giocatore sotto braccio e lo catechizza a lungo”. Grandi passeggiate, importanti confessionali. “Per questo lo definisco anche ‘padre Aurelio’. L’ aria cardinalizia ce l’ha tutta. Scherzi a parte, è un professore vero e un bravo gestore. Lasciare due pomeriggi liberi al gruppo, regala brillantezza in partita”. Divertimento e audacia: quando era alla Roma, incitava i calciatori a osare giocate speciali. Da lì nacque l’elastico speciale di Taddei, ribattezzato “Aurelio” non per caso.
Angelo saluta e torna a guidare il treno. Alta velocità, come l’Empoli di Andreazzoli. Un convoglio che sa bene quale deve essere la prossima fermata. Un viaggio di ritorno. Come quello di Aurelio.