Tecnica, temperamento, personalità. Se ti definiscono il "Maradona dei Carpazi" ci sarà un motivo e Gheorghe Hagi dimostrò sul campo che il paragone con il calciatore forse più forte di tutti i tempi non era poi così azzardato."Gica" aveva tutto. Se vuoi essere un 10 per eccellenza fantasia, visione di gioco e tecnica non devono assolutamente mancarti, ma se vuoi essere anche "leader" non basta. Hagi era un trascinatore, un combattente, uno di quelli che in campo alternava il tocco smarcante e il dribbling ubriacante al tackle ruvido e non aveva paura di affrontare a muso duro giocatori molto più grossi di lui. La sua storia parte da Săcele, piccolo paese della Regione di Costanza. In questi giorni Hagi è in Italia, un onore farsi raccontare direttamente da Gheorge i passi più importanti della sua carriera.
"Il calcio per me è sempre stato gioia" - racconta Hagi ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - "E' uno sport che ho sempre amato. Penso che ognuno nasca con attitudini particolari e un destino,il mio era quello di diventare un calciatore. Iniziò tutto nel mio paese,da piccolissimo, e il primo regalo che chiesi ai miei genitori fu un pallone. Poi bastava qualche amico, due tubi di canna e la spiaggia di Costanza: una volta che eravamo in campo era difficile riportarci a casa. A 10 anni mi iscrissi alla prima scuola calcio, quella del Farul Constanta e da quel momento cominciai ad allenarmi tutti i giorni. Da lì è iniziata la scalata". "Gica" non è mai riuscito a vincere le principali competizioni alle quali un calciatore può ambire, la Champions e la Coppa del Mondo. Ma questo non gli ha impedito di essere amato: "La mia carriera è divisa in due parti. Quella in Romania, dove ho avuto la fortuna di giocare con una delle squadre più forti di sempre. E quella fuori dalla Romania. Lo Steaua vinse la Coppa dei Campioni, la Supercoppa Europea e arrivò nuovamente in finale nel 1989. La nostra sfortuna fu di incontrare un Milan stellare, troppo più forte non solo dello Steaua, ma di qualsiasi altra squadra. Quella sì, rimane una grande delusione. L'altra delusione è legata alla Nazionale, a Usa '94".
Le sarebbe piaciuto giocare nel grande Milan di Sacchi? "Sì, certamente (ride). A chi non sarebbe piaciuto? Però, allo stesso tempo, non rimpiango nulla perché poi mi è andata comunque bene, perché andai a giocare nel Real Madrid e poi nel Barcellona. Ho vinto tanti trofei, ho giocato contro grandissimi giocatori, ho condiviso lo spogliatoio con leggende del calcio. Non cambierei nulla". L'esordio in Nazionale arrivò a 18 anni, a 20 Hagi era già capitano. Merito di un allenatore, una vecchia conoscenza del calcio italiano: "Un ricordo bellissimo. Mircea Lucescu è stato fondamentale per me, mi ha dato la spinta decisiva e mi ha introdotto nel grande calcio, quello vero, di grande livello, dandomi una grande opportunità quando ero giovanissimo. Non posso che essergli eternamente grato. Adesso anche io faccio l'allenatore e provo a mettere in pratica tutto ciò che mi ha insegnato, sperando di regalare a qualche altro ragazzo le opportunità che ho avuto io".
Fu proprio Lucescu a trascinare Hagi in Italia, a Brescia, nell'estate del 1992. Gica, nonostante offerte da mezza Europa, rimase anche in B, a rimediare alla retrocessione della stagione precedente: "Andai a Brescia principalmente per Lucescu, un atto di riconoscenza per tutto quello che aveva fatto per me quando ero giovane. Avevo ancora due anni di contratto a Madrid, ma quando mi chiamò Mircea non potevo che dire di sì, anche se si trattava di una piccola società. Andavo a giocare nel campionato più forte e più bello del mondo, e sfidare grandi squadre e tutti quei fuoriclasse non poteva che stimolarmi. Ho imparato tutti i segreti del vostro campionato, la cura nel preparare le partite, l'attenzione ai dettagli, il grande rigore tattico in campo. Un modo totalmente diverso di vivere e interpretare il campo. Vederlo da vicino, giocarci, far parte di quel mondo è stata un'esperienza bellissima".
Hagi ha giocato nella Nazionale rumena più talentusa di tutti i tempi, con giocatori del calibro di Dumitrescu, Raducioiu, Petrescu, Prodan, Popescu, Munteanu, Lacatus... Più forte la rosa di Italia '90 o quella di Usa '94? "Quella del '90 aveva tantissimo talento ma peccava di inesperienza. Quella di Usa '94 era una squadra matura, preparata a vincere con giocatori di valore e potevamo arrivare molto lontano. Purtroppo ci trovammo di fronte una Svezia in stato di grazia, che ci fermò ai rigori. Era forse la Romania più forte di tutti i tempi, siamo arrivati a quel mondiale con la convinzione di poter vincere tutte le gare e quando ogni giocatore ha questa mentalità significa che sei veramente pronto ad arrivare fino in fondo".
Durante i mondiali del '90 Hagi diede vita a uno storico duello con Diego Armando Maradona. In molti non sanno che non fu il primo "incontro": "La prima volta lo affrontai in un'amichevole a Vigo nel 1985, Nazionale rumena contro stranieri di Spagna.Poi ai mondiali di Italia'90. Quando ti trovi di fronte a uno dei giocatori più forti di tutti i tempi vuoi dimostrare di essere all'altezza, anzi, possibilmente più forte di lui. Questa era la mia arma quando giocavo contro grandi campioni, lo stimolo che mi spingeva a giocare grandi partite. E quel giorno me la cavai piuttosto bene. A fine gara, nello spogliatoio, ci scambiammo la maglia". Idolo? Johan Cruijff, che poi diventò anche l'allenatore di Hagi nel Barca: "Io sono nato con il calcio totale di Johan e della grande Olanda. Quando avevo 8-10 anni mi incantava guardare in tv le partite dell'Arancia Meccanica e impazzivo per quel modo di interpretare il calcio,per quella filosofia. Poi ho avuto la fortuna di essere allenato per due anni da Cruijff a Barcellona, vedere da vicino il suo lavoro, le sue idee. Quei due anni in Catalogna hanno cambiato il mio modo di vedere il calcio".
A 31 anni, nella parte conclusiva della carriera, arriva finalmente l'opportunità per Hagi di vincere qualcosa di importante:"Sì, anche se pure prima avevo vinto diversi trofei. In Romania la Supercoppa Europea con lo Steaua, in Spagna ho sfiorato il titolo con il Real e il Barcellona, sono uno dei sei giocatori che ha giocato in entrambe le squadre. Ho vinto due Supercoppe di Spagna. A Brescia ho vinto il campionato di B. Tutte esperienze che mi hanno permesso di arrivare in Turchia con una grande maturità e un palmares internazionale. Ero un calciatore completo, che in una squadra con tanti giovani e piena di giocatori talentuosi come era quel Galatasaray, ha portato l'elemento che mancava per vincere. Io, Taffarel, Popescu e un gruppo di 13 turchi di grandissimo livello, che poi costituirono l'ossatura della Nazionale che arrivò terza ai mondiali: vincemmo Coppa Uefa e Supercoppa Europea: un trionfo". Meritava molto di più "Gica" Hagi, il Maradona dei Carpazi.