Premessa. “Forse se giocassi in questa Atalanta un gol lo farei anche io”. Sorride Simone Tiribocchi, a chi è stato punto di riferimento della Dea un rendimento simile non può che render orgogliosi.
Schietto. “Dammi del tu, mi raccomando…”. Meglio non contraddirlo, il Tir. Lui che “mi rivedo un po’ in Petagna per lo stile di gioco anche se rispetto a me è più fisico” ma che di certo mingherlino non lo era. E che ci tiene a precisare come “anche nella mia Atalanta c’erano grandi giocatori, ma l’entusiasmo di questo momento è impressionante – ha dichiarato in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com - Mi fa piacere, al di là della mia fede calcistica sarò sempre tifoso dell’Atalanta: la società se lo merita per quel progetto in favore dei giovani che persegue da anni”.
Fede romanista mai nascosta per un Tir già in clima derby: “Spero vinca la Roma, è una partita impronosticabile. Fa piacere finalmente poter assister ad un derby d’alta classifica”, ma che testimone del progetto giovani atalantino lo è stato in prima persona visti i ragazzi della Primavera che già ai tempi scorrazzavano per Zingonia. Ragazzi sì, ma tutt’altro che terribili, due esempi: Bonaventura e Gabbiadini. “Jack era umile, tranquillo. Gli dicevo ‘diventerai una delle mezzali più forti d’Italia’ ed ora addirittura è un leader nel Milan. Anche per Gabbiadini spesi parole importanti: in tutta la mia carriera non ho mai incontrato nessun altro calciare bene come lui. Forse deve migliorare la sua forza mentale ed avere più fiducia in se stesso”.
Ricordi indelebili per Tiribocchi che invece ha svestito gli scarpini per sedersi in panchina ormai da un paio d’anni. La prima esperienza assoluta con gli Esordienti del Vicenza; il presente lo vede protagonista all’Olbia: “Alleno l’Under 17. C’è un progetto importante, ambizioso: siamo partiti da zero fino a diventare praticamente il ‘bacino’ del Cagliari. Mi piace lavorare coi ragazzi: per il momento sognerei una panchina di Allievi Nazionali o di una Primavera, sperando un domani di far carriera in Serie B o A”.
Eppure, per chi è stato idolo non è stato affatto semplice smettere col calcio giocato. Ne è passato di tempo da quel giorno in cui con la moglie, Gloria, ideò l’esultanza del ‘Tir’: fingere di tirare la cordicella dei tir americani per suonare il clacson, diventata poi vero e proprio oggetto di culto sui campi di calcio di tutta Italia. Nostalgia: “Quando cavalchi l’onda non te ne rendi conto di come tutto potrebbe finire. È fantastico sentire sulla propria pelle l’affetto della gente e mi fa ancora piacere quando mi fermano per strada chiedendomi una foto. Mi mancano quei momenti, il tempo porta via tutto con sé”.
Quasi tutto. Perché il Tir è sempre il Tir, anche per i più giovani: “Ci scherziamo su coi miei ragazzi in allenamento. E pensare che l’anno scorso, quando sedevo sulla panchina del Vicenza, un giocatore avversario ha segnato imitando la mia esultanza! Ci rido su, l’ho presa in modo positivo: vuol dire che ci si ricorda ancora di me”. Anche solo per sentito dire, non conoscere la leggenda del Tir risulta impossibile: quanto basta per un ultimo sorriso prima dei saluti. E siamo pronti a scommetterci che, se solo potesse, nemmeno quest’Atalanta di Gasp disdegnerebbe usufruire dei gol segnati dall’indimenticabile Tir.