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Data: 02/06/2016 -

Giampaolo: "Sarri è un amico, mi ha segnalato lui all'Empoli. Barcellona? Ho fatto uno stage, mi hanno impressionato"

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"Sono un costruttore di cose che possano rimanere nel tempo". Così si descrive Marco Giampaolo, che in molti vorrebbero vedere seduto sulla panchina di una grande squadra. Si parla di Milan per lui. L'allenatore di Bellinzona descrive il suo calcio e l'ottima stagione dell'Empoli attraverso le pagine de La Gazzetta dello Sport:

"Segreti? La qualità, prima di tutto. Non so quante squadre in Italia avessero un centrocampo qualitativo come il nostro: Paredes, un ex trequartista, come play; Zielinski, centrocampista moderno, che fa gol, assist, recuperi; Croce o Buchel dall’altra parte. E Saponara, per me l’emblema del giocatore perfetto: qualità, corsa e lavoro. Poi serve l’organizzazione collettiva: è quella a permetterti di sorreggere la qualità. Certo, sono arrivato in una squadra che veniva da lontano, abituata a lavorare in un certo modo da anni. Andavano a memoria. Sarri? Fu proprio lui a chiamarmi a gennaio e a dirmi 'Guarda che se io dovessi andar via, ho parlato al club di te'. E’ un amico, abbiamo fatto il corso a Coverciano insieme, mi ha mostrato il suo archivio, abbiamo idee in comune sul calcio".

Giampaolo ha studiato da vicino il Barcellona: "Lo stage che ho fatto lì è stato un’esperienza che mi ha fatto vedere il calcio da un’altra prospettiva. Ciò che mi ha colpito di più è il modello uguale per tutti: i ragazzini di 10 anni fanno gli stessi allenamenti della prima squadra. In Italia invece gli allenatori del settore giovanile propongono ognuno il proprio tipo di calcio. Là tutti i tecnici sono al servizio di un modello e non di se stessi. Appena tornato, andai al Cesena ed ebbi l’idea di proporre quel tipo di calcio. Fu un errore: se non hai qualità di palleggio, è un suicidio. Ma qualcosa mi è rimasto dentro e l’ho ripescato nel tempo. Empoli mi ha permesso di applicare certe idee. Qualità? Non deve essere anarchica. Deve essere al servizio della squadra".

Società? Non deve mai mancare l'appoggio all'allenatore: "Siamo dei precari: perdi tre partite e puoi andare a casa. La credibilità è fondamentale e basta smarrirne un filo per avere problemi, perché i giocatori ti pesano, ti valutano in ogni momento. Il calciatore percepisce se la strada che vuole seguire il tecnico è per lui conveniente. E davanti alla squadra il club ti deve tutelare, sostenere le tue scelte. Non può ammettere che un giocatore vada dal d.s. o dal presidente a lamentarsi e rispondergli magari 'Sì, il mister ha sbagliato'. Così sei morto. E’ questione di leadership, che il giocatore deve riconoscere senza che il tecnico abbia necessità di riaffermarla continuamente. E’ il club che fa la differenza. Io non ho mai chiamato i miei presidenti, sapere che ci sono calciatori che lo fanno è qualcosa che non si può sentire. Per il mio modo di ragionare io non posso arrivare a lui, devo relazionarmi con il direttore".

Gavetta importante? "Se il club ti sceglie non è colpa tua. E’ la società che decide e che deve sapere se quell’allenatore rischia di bruciarsi. Ci sono treni che passano mezza volta, e in certi casi mai. Giusto salirci".

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