Gerrard, the legEnd
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Data: 25/11/2016 -

Gerrard, the legEnd

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Sintetico, conciso ma dritto al cuore. “Mi avete aiutato a realizzare i miei sogni”, terzultimo capitolo di una storia iniziata nel lontano 1997 lungo la Merseyside dedicato al saluto per tutti coloro che, in 17 anni, hanno camminato al suo fianco. E no, il riferimento non è casuale se con la mente si viaggia verso Anfield Road, Liverpool, dove “You’ll never walk alone” ha assunto con gli anni le sembianze di un tatuaggio permanente nella storia dei Reds, della “Kop” e, soprattutto, di Steven Gerrard.

Fosse stato per lui, quella maglia rossa non l’avrebbe mai tolta. Amore a prima vista insieme al pallone, amico di una vita salutato definitivamente oggi, e seconda pelle sin dalla nascita. Questione di famiglia, città, passione: ciò che a Stevie G non è mai mancato, in campo e fuori, nel difendere i suoi colori. Inevitabile, però, gettare la spugna nel maggio di due anni fa, ferito da una società che di accontentarne le richieste di rinnovo proprio non se l’è sentita. Deluso sì, Gerrard, ma altrettanto consapevole che quel Liverpool, di lui, almeno in campo avrebbe ormai potuto farne a meno: tempo che scorre, generazioni che cambiano, ultime bandiere ammainate.

Traditore mai, nemmeno per scherzo. L’insistenza di Real, Ferguson e Manchester United (a partire da quando aveva 7 anni) e Chelsea, con offerte da capogiro, e la consapevolezza di un amore troppo più grande di qualsiasi assegno come miglior risposta a chiunque. Mai contro cuore: quello che lo ha portato a crescere, debuttare e diventare leggenda nella sua città; quello che nel corpicino del cugino Jon-Paul, presente nel settore ospiti in quel maledetto pomeriggio di Hillsborough, ha smesso di battere a soli 10 anni, schiacciato dalla folla della Leppings Lane e tornato a vivere nel ricordo che Steven ha sempre abbracciato in ogni partita giocata. Poteva e doveva nascere in maniera diversa, la sua storia con il Liverpool: ma nell’unicità di un’esperienza irripetibile, Gerrard ha dovuto fare i conti anche con ciò che la vita ha saputo dargli e, a maggior ragione in quella occasione, togliergli, scatenando ulteriormente in lui la più intensa determinazione per raggiungere un sogno.

E nel giorno dell’addio al calcio giocato, è davvero arrivato il tempo di guardarsi indietro. Definitivamente. Brevi parentesi extra europee incluse, come l’ultima tappa a Los Angeles, e tirando un sospiro di sollievo nel ripensare a come tutto, per una banalità, avrebbe potuto non prendere il via. Il calcio involontario ad un forcone in una partitella con gli amici, l’alluce perforato e l’iniziale rischio amputazione scongiurato: ostacolo imprevisto su un cammino scritto, quando a già a 9 anni il settore giovanile del Liverpool apriva lui, nel miglior scouting della storia dei Reds, le porte del settore giovanile. Terzo per presenze nella storia del club e secondo miglior centrocampista marcatore di sempre in Premier alle spalle di Lampard: 721 gare e 180 gol nella carriera di un calciatore, in una sola parola, totale. Box to box player e Capitano con la C maiuscola, come quella apparsa sulla fascia consegnatagli da Houllier che ha indossato per 12, lunghe stagioni. E con cui è diventato, almeno in 3 occasioni, Ste-win G.

Istanbul come ricordo più dolce, e non può essere altrimenti. La più grande espressione di ribellione di fronte ad un dominio milanista inconcluso, scalando una montagna in maniera impensabile: l’unico a non arrendersi mai, nemmeno quando tutto sembrava compromesso. La pressione sempre amica e mai contro, avvertita come stimolo e non come limite, all’interno di un viaggio dalle tante sfumature di un unico colore: quel rosso che ne ha accompagnato infanzia, adolescenza, vita. Al quale non è mai riuscito a regalare una Premier, scivolando sul più bello (contro il Chelsea) ad un passo dal tanto agognato titolo: proprio lì, su quel campo e su quelle zolle teatro di mille gioie. Fino al 16 maggio di 2 anni fa, quando salutava Anfield in lacrime: addio premeditato ad un calcio che, in futuro, non potrà che rimpiangere una delle sue ultime, vere bandiere. L’8 sulla schiena come simbolo, sì, ma per trovarne la vera chiave basta ribaltarlo orizzontalmente: infinito. Come il suo legame con il Liverpool: sogno divenuto realtà di fianco al quale camminare per sempre. Storie di un "Patto tra la gente" della "Kop" e di un campione dall'attaccamento alla maglia unico, riassumibile in un solo pensiero: "Quando sarò in punto di morte, non portatemi all'ospedale. Portatemi ad Anfield: sono nato lì, e lì morirò". LegEND.



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