La rete che si gonfia. Peccato sia quella sbagliata. Peccato che a segnare siano gli avversari e che il cronometro dica 93'. Per il Genoa e per Carlo Sabatini il pareggio del Berekum Chelsea è stato un terribile dejà vu. La semifinale era lì ad un passo, poi improvvisamente la doccia fredda: "L'ho vista male - ci racconta Carlo - in questi casi al 99% vince la squadra che la recupera all'ultimo. L'anno scorso ci è successa la stessa cosa con l'Inter. Con una differenza, ovvero che prima non avevamo segnato". Già, per questo l'ultimo Viareggio del Genoa era finito ai quarti. L'Inter poi vincerà il Torneo ma il rammarico resterà grosso: "Quel giorno lì erano abbordabili - ricorda Carlo - insomma, li potevamo battere. Avevano tanti giocatori assenti per le Nazionali. Ci siamo portati dietro tanta amarezza. Infatti in campionato non abbiamo più vinto una partita. La sensazione di aver sprecato una grande occasione ci ha prosciugato mentalmente. Per questo, prima della sfida con il Berekum Chelsea, ho ricordato ai ragazzi tutti i rimpianti avuti in quei mesi".
A questo giro, però, è andata bene. Chi ha calciato i rigori lo ha fatto benissimo, chi doveva pararli - Raccichini - ci ha messo la manona. Morale della favola? Il Genoa è in semifinale e domani se la vedrà con il Parma. Carlo lo aveva detto prima di partire per la Versilia: "Sarebbe bello arrivare fra le prime quattro". Detto, fatto: "Volevamo migliorare il risultato dell' anno scorso - ci racconta - e le sensazioni erano positive. In campionato siamo partiti malissimo, eravamo penultimi alla quartultima giornata del girone di andata. Poi abbiamo reagito e questo torneo è coinciso con il nostro momento migliore". Un percorso strano, ostacoli di tutti i tipi. Dai sudamericani dell'Atlantida agli africani del Berekum, passando per i cechi del Dukla Praga: "Avversari impossibili da conoscere, visti un minimo solo su Wyscout" Continua Carlo. Che nel palmarès ha due promozioni dalla Lega Pro alla B, due cavalcate entusiasmanti con Padova e Como. Ma che con il Viareggio metterebbe la ciliegina su una carriera strepitosa a livello giovanile. Iniziata molto presto, perchè Carlo ha smesso di giocare quando aveva compiuto da poco venti anni: "Ero nelle giovanili del Perugia, ma ho detto basta per un motivo molto semplice. Non avevo i mezzi per andare avanti, punto. E siccome sono uno molto ambizioso, volevo di più dalla mia carriera".
Gli inizi, Cosmi e Del Piero
Carlo da ragazzo era alto e magro: "Troppo, gli avversari mi sovrastavano. Tecnicamente ero anche piuttosto bravo, ma alla fine pagavo. E non giocavo. Negli Allievi lo facevo poco, salendo la piramide non venivo nemmeno convocato. Arrivi ad un punto in cui devi prenderne atto". Carlo lo fa, anche se con grande dispiacere: "Avevo sempre vissuto nel mondo del calcio, anche a casa era un argomento quotidiano. Provavo una sorta di repulsione verso questo sport, per questo all'inizio non ne volevo sapere di fare l'allenatore. Volevo solo staccare la spina". Carlo apre un paio di attività con la sorella e il cognato. Allo stesso tempo, però, si fa convincere e finisce fra i dilettanti del Pontevecchio, laddove allena un certo Cosmi. Lui si occupa delle giovanili, lo prende quasi come un hobby. Ottiene subito dei buoni risultati, agguanta le finali regionali: "Con il tempo scoprii che mi piaceva molto allenare - spiega Carlo - mi trovavo a mio agio a dirigere dei ragazzini". A quel punto arriva la chiamata del Padova. Bene, è il momento di abbandonare le proprie attività. Il futuro è in panchina.
Li ci sta undici anni: "Nel primo mi affidarono gli Allievi - ricorda - e anche il ruolo di tutor della Foresteria. Una mansione che mi ha dato tanto, perché mi ha permesso di conoscere i ragazzi a 360°. Sì, c'è il calcio, ma loro hanno bisogno di un supporto che vada oltre. Ne ho visti tanti perdersi, anche chi era nel giro delle Nazionali. Come dico sempre, devono mettere ogni giorno un mattoncino per costruire qualcosa di importante. Ogni ora senza migliorarsi in qualcosa è tempo sprecato. Disfa velocemente quello che hai messo in piedi con tanta fatica". Ne sa Carlo, eccome se ne sa. Fra le sue mani è passato anche un certo Del Piero, lui sì che ce l'ha fatta: "Aveva appeso in Foresteria un poster di Platini. Voglio diventare come lui, diceva. Quella foto è rimasta lì anche dopo e io l'ho fatta vedere a ogni ragazzo. Alessandro aveva una determinazione non comune". E anche una certa dose di genialità. Come Cosmi: "Che ha spostato Grosso dalla trequarti alla fascia e Liverani davanti alla difesa, tanto per dirne due". Cosmi che lo porta all'Udinese. Lì Carlo conosce la Champions e non solo: "Ricordo le due partite con il Barcellona. All'andata Ronaldinho fece il pazzo e segnò una tripletta, anche se io ero a vedere Werder Brema-Panathinaikos, perché dovevo fare una relazione sulle altre due avversarie del girone. Ricordo bene però il ritorno. Ci bastava un punto per agguantare gli ottavi, un risultato storico. Loro si presentno senza Ronaldinho e con un giovanissimo Messi in panchina. 0-0, partita normalissima fino a 20' dalla fine. Poi entra Iniesta e addio".
Il rapporto con Walter
Ricordi di un passato più o meno lontano. Carlo poi è tornato ad allenare i ragazzi e questa sua passione lo ha portato a Genova appunto. Sponda rossoblù, a differenza del fratello Walter, che ha scelto la Sampdoria: "Io abito a Ponente, ad Arenzano. Lui invece a Nervi. Purtroppo, da quando c'è stata la tragedia del Ponte Morandi, è diventato più complicato vedersi. Per lui nutro un'ammirazione profonda, è stato il mio mito. Fin da bambino, quando Walter era un giocatore professionista e io sognavo di imitarlo". Adesso uno fa il dirigente, l'altro l'allenatore: "Se mi chiamerebbe nel caso in cui vincessi il Torneo di Viareggio? Non ci sentiamo tantissimo. Anzi, quando lo facciamo è nei momenti di difficoltà. Dopo un esonero o delle dimissioni. Fra fratelli funziona così". Sicuramente, in caso di vittoria, Carlo non si accenderebbe una sigaretta: "Mai sfiorata nella mia vita. Mio fratello ne fumava troppe in casa, mi affumicava" Scherza. Una, probabilemnnte, se l'accenderà davanti alla tv. Perché per un fratello si soffre, sempre. A maggior ragione quando si gioca un posto nella finale del Viareggio.