In carriera ha vinto tutto, ma in pochi si ricordano di citare Giovanni Galli tra i grandi portieri della scuola italiana. Il portierone di Pisa ha alzato due Coppe dei Campioni al cielo, una Coppa del Mondo, ha vinto lo scudetto, la Coppa Uefa e un'Intercontinentale. Trofei che giustificano ampiamente la lunghissima intervista dedicata a Galli dal Corriere dello Sport. Si parte dall'inizio, la scelta di giocare in porta:
"Non è stata una mia scelta, è stata quasi una forzatura. Eravamo tutti amici, arrivavamo tutti dalle case popolari di Pisa. Decidemmo di formare una squadra e di partecipare al campionato. Io giocavo da mezz’ala all’epoca e tutto il precampionato e le amichevoli le ho fatte da centrocampista. Arrivammo alla prima giornata di campionato e, come sempre, nessuno voleva stare in porta. Il mio babbo, che mi aveva visto delle volte giocare in porta nelle nostre partite infinite del doposcuola, mi disse 'Dai Giovanni, vai te in porta per questa partita, poi magari per la settimana prossima troviamo qualcun altro'. Quella partita andai in porta e vincemmo 4 a 2. La domenica dopo il portiere ancora non lo avevamo trovato. Attesi anche la partita successiva e quindi mi stabilizzai. Fui notato da alcuni osservatori della rappresentativa pisana, perché si doveva fare il torneo delle quattro Repubbliche marinare e allora venni scelto come portiere. Da quel torneo carico di storia non sono più uscito dalla porta"
L'errore più grande e la parata indimenticabile: "Mondiali dell’86 con Maradona in Argentina - Italia 1 a 1. Rimasi come un baccalà, perché mi aspettavo di tutto tranne che quella conclusione. Non avevo capito chi avevo davanti. Poi di errori ne ho fatti diversi, ma dopo un po’ li dimenticavo. Mentre questo non riesco a scordarlo. Una parata decisiva, invece, la feci nel Milan e penso che abbia cambiato il corso della storia del club: mi riferisco ai rigori a Belgrado contro la Stella Rossa. Da quei rigori è nata la leggenda di quel Milan. Io, durante la partita, ero chiamato poco in causa, con la difesa e la squadra che avevo davanti. Ma nel momento in cui c’è stato bisogno mi sono fatto trovare pronto. Ho parato due rigori su quattro. Abbiamo superato quel turno e vinto poi la Coppa dei Campioni. Poi abbiamo conquistato la Coppa intercontinentale e la Coppa dei campioni l’anno successivo. Quella partita lì è stata un po’ lo spartiacque per la storia del Milan, ma non soltanto per quei due calci di rigori. Successe di tutto: fu interrotta dalla nebbia, abbiamo corso il rischio che morisse un giocatore in campo come Donadoni, tre giocatori si sono infortunati per sei mesi. E’ stata una partita veramente allucinante, sotto tutti i punti di vista".
Da grande numero uno, Galli giudica i migliori portieri del momento: "Io intanto vorrei dire che finalmente si è smesso di andare in giro per il mondo a cercare portieri. I portieri italiani sono i più forti in assoluto: per cultura, per metodologia di lavoro, per il modo in cui vivono la complessità del nostro calcio. Per me il portiere italiano è in assoluto più forte. Anche per l’eleganza, per il modo di parare. Ci sono dei portieri molto forti come Perin che purtroppo è stato penalizzato da due gravissimi infortuni. Ce ne sono tanti in serie B, come Cragno, che sono molto bravi. Donnarumma?Due mesi fa mi chiamarono per chiedermi cosa pensassi del fatto che il giovane portiere del Milan avesse sbagliato due partite. Gli ho risposto: 'Pensate che a diciassette anni questo ragazzo non debba mai sbagliare?'. Anzi è bene che sbagli, perché capisce l’errore, soffre per l’errore e non perde la misura della crescita. Perché questo ci deve essere nel portiere. E ogni allenamento deve faticare, per cercare di costruire qualcosa. Di costruire un millimetro in una parata a sinistra, un millimetro in una parata a destra, un millimetro sulla palla alta, un centesimo di secondo nell’anticipo. Se si perde questo io credo che non si abbia più la possibilità di migliorare. Io ho smesso quando non avevo più voglia di allenarmi".
Galli fu uno dei primi a ridare un'opportunità aSarri, quando lo porto a Verona nel 2009: "Quando la Fiorentina fallì, e ripartì dalla serie C2, la famiglia Della Valle mi chiamò a fare il direttore sportivo. In quella stagione nel nostro girone c’era la Sangiovannese e l’allenatore era Maurizio Sarri. Soffrimmo tutte e due le partite perché loro giocavano un calcio bello, bello da vedersi, piacevole, efficace. Iniziai a seguirlo, da quella volta. Il Verona dalla serie A era retrocessa in serie B e poi in C e in quel momento era ultima in classifica in serie C. Conoscevo Sarri, che soffre sempre l’inizio del lavoro così come i giocatori faticano ad assorbire il suo lavoro e le sue idee. Così dissi al Verona 'Noi ci dobbiamo salvare. Prendiamo questo allenatore e lui quest’anno inizia già a costruire il progetto vincente per l’anno prossimo. Perché noi l’anno prossimo in serie C dobbiamo vincere il campionato con quindici punti di vantaggio. Se partiamo con sei mesi di anticipo rispetto a tutti, riusciremo a farlo'. Purtroppo le prime partite non andarono bene e il presidente, a mia insaputa, lo mandò via. E io a quel punto, nonostante avessi il contratto ancora in essere, pensai che fosse giusto, visto che il progetto tecnico da me proposto era fallito, dare le dimissioni".
In chiusura d'intervista un ricordo del figlio Niccolò, scomparso nel 2001, a diciotto anni , per un incidente in motorino: "Per un padre parlare del proprio figlio è sempre molto difficile. Io riporto quello che mi dicevano gli altri allenatori. Quelli che lo allenavano nella Fiorentina e nell’Arsenal quando è andato a Londra, nel Bologna, nelle nazionali. Io posso dire soltanto che era elegante. Poi dopo se era bravo, non era bravo non spetta a me, non è giusto che sia io a doverlo dire. Io dico che era elegante. Era bello a vedersi. Aveva classe, la classe nel muoversi. Nonostante fosse un metro e novanta aveva una coordinazione, la capacità di movimenti, una facilità di corsa che veramente ti riempiva gli occhi. A diciassette anni aveva già esordito in serie A con Guidolin. Guidolin è un allenatore che se meriti giochi, se non meriti stai fuori. Quagliarella porta il suo numero? Fabio è un figlio a distanza. E’ un ragazzo splendido. Loro due giocavano insieme. Ha una grande sensibilità e una forte intensità interiore. Io ho tutte le maglie numero 27 che lui ha vestito in giro. Di questo gli sarò sempre grato".