"Qui si sta bene, l'ambiente è sereno e ci sono poche pressioni: merito di una società seria, che ti mette a disposizione tutto quello di cui hai bisogno". Parola di Gaetano D'Agostino, un presente da allenatore della Virtus Francavilla e un passato tra provincia e Capitale, con vista su Madrid, Nazionale azzurra e Giappone ("Felix Magath mi voleva all'FC Tokyo"). A 36 anni - da festeggiare il prossimo 3 giugno - la panchina è la sua nuova vita. Chiavetta usb per rivedere la partita, k-way, pantaloncini e sigaretta elettronica: immancabili compagni di cammino. Iniziato all'Anzio, in Serie D, e proseguito ora in Puglia: “Un'esperienza meravigliosa – spiega in esclusiva a gianlucadimarzio.com – qui si vogliono fare le cose con programmazione, quest'anno è stato influenzato anche dal fattore stadio: giochiamo in casa a Brindisi e questo non aiuta. Siamo partiti molto bene, mentre nella seconda parte abbiamo pareggiato tanto. Ci manca una vittoria per poterci salvare matematicamente e poter puntare a qualcosa di più grande”. Poco male per una realtà che fino alla scorsa stagione era un'assoluta novità per il calcio professionistico. Quello che per 15 anni è stato il palcoscenico naturale del D'Agostino, playmaker dal mancino fatato: “Devi imparare ad entrare nella testa di 25 ragazzi, è un po' stressante ma l'ho sempre voluto fare e ogni giorno ringrazio chi mi offre la possibilità di farlo. L'età? Non conta, qui a Francavilla per esempio c'è De Toma, un mio coetaneo con il quale abbiamo un ottimo rapporto. Occorre capire che i calciatori più esperti hanno più bisogno di parlare che non di ascoltare rispetto a un giovane”.
Ha imparato la professione da autentici maestri, D'Agostino. Capello, Marino, Spalletti e Sarri, tanto per ricordarne alcuni. “Da tutti ho cercato di prendere qualcosa, tatticamente e sotto il profilo della gestione del gruppo. Oggi mi piace tantissimo Allegri”. In campo ha girato l'Italia: partenza da Palermo, tappa a Roma, poi in viaggio da Bari a Messina verso Firenze e Udine, fino a Pescara e Siena, chiudendo tra Andria e Benevento. Senza dubbi quando si tratta di individuare il compagno di squadra più forte con il quale ha condiviso lo spogliatoio: “Troppo facile dire Francesco Totti a Roma, troppo più forte degli altri – sorride – ma devo citare anche Antonio Di Natale. Quanto mancano al calcio italiano...”. Gli idoli di gioventù erano Zidane e Van Basten, nomi di un calcio che fu. Quanto a ritmi, nomi e disciplina: “E' cambiato tanto: ricordo che nelle giovanili della Roma io, Lanzaro, Amelia e un altro paio di ragazzi arrivavamo al campo mezz'ora prima, prendevamo tutti palloni. Poi li gonfiavamo e facevamo un po' di tecnica individuale con Galbiati, il vice di Capello. Infine ci allenavamo con la squadra, ma alla fine dovevamo riprendere i palloni, pulirli, sciacquarli e rimetterli dentro la sacca. Ogni giorno. Se sgarravamo, erano fatti nostri. Lo facevano per farci capire come si stava in uno spogliatoio".
Il viaggio nel tempo di Gaetano D'Agostino fa tappa al 2009, conclusione di una stagione con 11 reti (“Che bello quel gol su punizione alla Lazio”): lo cercavano Juventus e Real Madrid, l'Udinese chiedeva 25 milioni. A un passo da Torino prima e dalla Spagna poi, ma rimase in Friuli. “La verità la sa Gino Pozzo, si è parlato di plusvalenze, scambi ma io di certo non so nulla - ricorda - di Udine ho un ricordo bellissimo: lì ho raggiunto la maturità calcistica, la Nazionale e mi sono confermato ad alti livelli. All'Udinese dirò sempre grazie. Era legatissimo alla città, un ambiente che ti lasciava lavorare: non so perchè quell'affare con il Real si chiuse, ma è una parentesi dimenticata”. Un piccolo rimorso di calciomercato, però, c'è: “Alcuni errori li capisci solo dopo, ma tutti sbagliamo: l'essenziale è rendersi conto degli errori. Certe scelte affrettate non le farei più”. Esempi concreti: “Dire no al Napoli perché mi cercavano anche Juventus e Real Madrid – riavvolge il nastro a 10 anni fa – non ho avuto la giusta lucidità all'epoca. Se tornassi indietro prenderei un po' di tempo in più”.
Tempo, quello che servirebbe alla Nazionale italiana per risollevarsi: quella maglia azzurra D'Agostino l'ha vestita 5 volte, con mostri sacri come Gattuso, Pirlo e De Rossi davanti a lui a centrocampo. “Oggi si cambia troppo e si veste la maglia della Nazionale troppo presto – aggiunge – io sono stato convocato dopo 120 presenze in Serie A”. Era il suo 27esimo compleanno, 3 giugno 2009, a Pisa: 3-0 all'Irlanda del Nord con reti di Rossi, Foggia e Pellissier. “Che giornata, è nei miei ricordi. Nel 2006 abbiamo vinto il Mondiale in coda a un percorso nel quale Lippi aveva uno zoccolo duro. Le novità erano legate solo a calciatori che facevano grandi cose in campionato. Oggi non è più così e lo paghi. I talenti oggi ci sono, ma occorre aspettarli e puntare su di loro”. Compattezza e continuità, questa la ricetta: “Ho letto tante critiche verso Jorginho, non si può pretendere che in Nazionale abbia subito lo stesso rendimento del Napoli”. E se lo dice un ex regista, c'è da credergli. Il presente, però, fa rima con panchina e Virtus Francavilla. E il nastro torna ai file più recenti: “La partita che vorrei rigiocare è la sconfitta in casa contro la Casertana, abbiamo perso meritatamente e giocando male. La partita più bella? Paradossalmente una sconfitta, per 1-0 a Catania davanti a 15mila spettatori. Abbiamo giocato benissimo. La vorrei rivedere e rigiocare”.
Ambizione è la parola d'ordine. Playoff? I ragazzi ci credono e io ci credo. Ma dobbiamo fare una grande partita e vincere contro l'Akragas. Sono ultimi, è vero, e in caso di sconfitta contro di noi potrebbero essere retrocessi direttamente. Ma occhio, le squadre senza obiettivi possono essere le più pericolose”. Per chi punta alla Serie A da allenatore (“Come ho detto sono ambizioso e l'idea è quella”) si tratta di ostacoli che vanno superati. Come con un calcio di punizione, a scavalcare la barriera.