Tutto merito di una partita contro Ronaldinho. L'avventura europea di Gabriel Appelt Pires cominciò così. A 18 anni giocava nella sua Rio de Janeiro e non poteva immaginare che un giorno avrebbe eliminato con un suo gol il Real Madrid dalla Copa del Rey.
Con il Resende, piccolo club che lo aveva prelevato dal Vasco da Gama, giocava il Campeonato Carioca, il campionato dello stato di Rio de Janeiro, e nel 2011 si trovò faccia a faccia con Ronaldinho, appena arrivato al Flamengo dopo la fine della sua avventura al Milan. Fu la partita più importante della sua carriera perché la sua prestazione oscurò quella del suo grande idolo sportivo: a vederlo quel giorno c'erano dei dirigenti della Juventus che decisero immediatamente di portarlo, assieme a suo fratello Guilherme, in Italia.
Solo che l'Italia non faceva per lui. E nemmeno per il fratello. Guilherme si perse rapidamente nelle divisioni inferiori italiane e svizzere prima di finire svincolato; Gabriel invece a Torino imparò tanto da Andrea Pirlo, diventato in poco tempo la sua principale fonte di ispirazione calcistica, ma non riuscì a far vedere il suo grande talento. Troppo acerbo per la Juve, meglio andare a formarsi in prestito in Serie B. Tante esperienze, quasi tutte sfortunate: Pro Vercelli, Spezia, Pescara e Livorno senza mai trovare realmente l'opportunità di emergere. Forse perché l'Italia non faceva davvero per lui, come ha più volte dichiarato. "In Italia c'era molta gente che mi chiedeva in continuazione di combattere, ma per me il calcio è divertimento. In Italia puoi giocare solo a due tocchi, io mi sentivo limitato".
E così scelse di formarsi in Spagna, anche qui in una seconda divisione. Andò a Leganés, pochi chilometri da Madrid e un progetto davvero ambizioso. Tanto da centrare al primo anno la prima storica promozione del club e da fare innamorare la tifoseria che lo elesse addirittura giocatore dell'anno. Merito forse di quel tocco in più che gli concede il calcio spagnolo, più simile sotto questi punti di vista a quello a cui era più abituato, per sua stessa ammissione. "Qui c'è un calcio più libero, assomiglia a quello brasiliano", disse dopo la storica promozione.
Ma la sua ascesa non finì lì: il primo anno di Liga, nella stagione scorsa, fu un vero trionfo. Soprattutto quando nel giorno del suo compleanno segnò in casa un gol splendido su calcio di punizione al Barcellona. Sentiva che era la giornata sua, rubò il pallone a un compagno e segnò il primo di una serie di gol molto importanti.
Uno di questi gol pesanti è arrivato in Copa del Rey, ai quarti di finale contro il Real Madrid. Alle merengues aveva già segnato ad aprile scorso ma a Butarque, non al Bernabéu. Allora il gol, il primo della storia del Lega al Real, servì a poco nella sconfitta per 4-2; stavolta invece è stato pesantissimo perché è valso l'eliminazione della squadra di Zidane e la qualificazione alle semifinali. Un traguardo storico raggiunto grazie al gol di chi la storia l'ha scritta in prima persona in questo club. E pensare che in Italia, per colpa di un tocco di troppo, non riusciva a esprimere il suo calcio. Mentre ora riesce a eliminare i campioni d'Europa e del mondo.