Con i suoi 125 gol è entrato nella storia del Torino. In pochi in casa granata si sono dimenticati di lui, forse nessuno. Non tutti però sanno cosa fa ora Marco Ferrante: perché non farcelo raccontare direttamente da lui? L'ex centravanti dei torinesi accetta volentieri l'invito di GianlucaDiMarzio.com. "Senza il calcio non so stare" - precisa subito Ferrante - "Una volta smesso ho fatto il corso per fare il direttore sportivo con diversi ex colleghi importanti, come Cannavaro, Oddo, Galante. Sono pronto e se dovesse esserci un progetto vero, una squadra seria che voglia allestire una rosa competitiva, con delle ambizioni, le porte sono aperte. Nel frattempo, dato che sono 'un uomo di campo' , ho aperto una scuola calcio a Torino ( la Marco Ferrante Soccer School, n.d.r). I numeri sono importanti e mi sto levando delle belle soddisfazioni. Cerco di insegnare ai bambini ciò che hanno insegnato a me alla loro età: come si calcia, come si mette il corpo, come si protegge il pallone. Tanti piccoli aspetti che in diverse scuole calcio non si curano. L'obiettivo è mettere a disposizione dei grandi club I bambini più bravi e meritevoli, senza alcun tipo di vincolo. E' giusto che facciano un percorso tra i professionisti".
Già. Da bambino certi "trucchi" li imparò da alcuni fuoriclasse dell'epoca, anche se lontano da casa non fu semplice: "Lasciare la Sardegna e la famiglia, gli amici, all'età di 13 anni non è assolutamente facile. Fui segnalato al Napoli dagli osservatori di Moggi. Quello che ti viene tolto in termini di affetti, però, ti viene restituito dopo, in termini di crescita. Mi aiutò a diventare uomo prima di tanti altri ragazzi. Ero ancora un bambino e giocavo e mi allenavo con calciatori del calibro di Maradona, Careca, Alemao. Il sabato scendevo in campo con la Primavera, mentre la domenica trovavo posto in panchina e all'epoca non era assolutamente facile perché era massimo di 16 elementi. Spesso per le convocazioni venivo preferito a Gianfranco Zola o ad altri giocatori molto più grandi ed esperti. Se sei bravo a gestire queste emozioni allora puoi fare strada. Il resto lo fanno lo spirito di sacrificio e la voglia di arrivare, la fame. Allenarsi con campioni come loro, la MaGiCa, Maradona-Giordano-Careca, a cui vanno aggiunti i vari Bagni, Carnevale, Ferrara... può darti alla testa. Indubbiamente se ero lì qualche merito lo avevo, ma ho mantenuto i piedi per terra. Mi hanno insegnato tanto".
Napoli che vorrebbe, come allora, tornare sul tetto d'Italia: ":"Bisogna levarsi il cappello di fronte a quanto stanno facendo, sono a soli tre punti da questa Juventus che sta realizzando un' impresa ai limiti dell'impossibile. La squadra di Allegri è un carro armato, vince in scioltezza in casa e in trasferta, ma gli azzurri sono lì. Purtroppo, al momento, la differenza la sta facendo lo scontro diretto, perso immeritatamente. I bianconeri sono giustamente in testa, ma la mia speranza è che ci sia un colpo di scena e che il Napoli ne sappia approfittare, renderebbe bellissimo questo finale di stagione". Torniamo ancora indietro nel tempo, stagione 1992-1993. Ferrante passa al Parma, all'inizio del periodo d'oro degli emiliani: "Squadra fortissima, facemmo una grande stagione. Il mio unico rammarico è di non essere riuscito a incidere a livello realizzativo a causa di una fastidiosissima pubalgia cronica. Finimmo terzi quell'anno e vincemmo la Coppa delle Coppe a Wembley contro l'Anversa. Sicuramente importante per il curriculum".
Perugia, Piacenza e Salerno non conoscono il vero Ferrante. Arriva il turno di Torino: amore a prima vista. "In granata è arrivata la consacrazione. Ero maturo e finalmente senza alcun problema fisico. La pubalgia, male che non auguro al peggior nemico, era guarita. Lì sono tornato il ragazzino che a 16-17 anni era sulla bocca di tutti. Sono entrato nella storia del club granata per varie circostanze. Ad esempio realizzando quattro reti in 30 minuti, impresa mai centrata. Ho fatto 127 gol, la media di quasi una rete ogni due partite". Il derby Torino-Juventus, del 24 febbraio 2002, lo rende celebre per una particolare esultanza: "Diciamo che mi ha reso famoso nel mondo.E' capitato di andare in America e di essere riconosciuto per strada. Quell'esultanza particolare, però, non è nata nel 2002, perché io in realtà la proponevo già da tempo: il toro che incorna. Era un modo di gioire sotto la curva "Maratona" insieme ai miei tifosi, mai un gesto provocatorio nei confronti dell'avversario".
Otto anni di Torino, con una parentesi sei mesi nell'Inter, dove Ferrante ha conosciuto Alvaro Recoba, che ieri si è ufficialmente ritirato dal calcio, ma anche Ronaldo e Vieri: "Con il "chino" il più delle volte eravamo in camera insieme. Un ragazzo eccezionale, piacevole fuori dal campo. Un fenomeno per quel che riguarda le sue potenzialità, ma non un campione, purtroppo, perché uno con i suoi mezzi tecnici, con il suo estro, poteva vincere molto di più in carriera. In allenamento tirava fuori delle giocate incredibili, aveva un tiro potentissimo, sferrava bombe. Era il pupillo di Moratti proprio perché aveva questi lampi di genio e faceva dei gol mostruosi. Un enorme potenziale mai del tutto espresso. Ho avuto la fortuna di passare sei mesi anche con Ronaldo, che all'epoca rientrava dal brutto infortunio patito contro la Lazio. Aveva l'obbligo della Federazione brasiliana di non giocare per quei mesi e quindi non ci fu l'opportunità di fare coppia con lui. Poi Vieri lo conosciamo tutti. Era uno che la porta la vedeva anche bendato. Io prediligo i brevilinei e quelli con una tecnica di base elevata, però chi fa gol ha sempre ragione. Chapeau ad attaccanti come lui e Inzaghi"
Adesso il Torino è in difficoltà: "In casa Toro i panni sporchi si lavano in casa. Noi tante verità non le sapremo mai. La sensazione da esterno è che qualcosa nel meccanismo si sia rotto. E' finito un ciclo importante. Ventura ha ottenuto risultati straordinari, che nessuno ha fatto negli ultimi vent'anni. Penso che ora le strade siano destinate a dividersi. Perché non ho un ruolo in società? E' una cosa che mi chiedono tutti i giorni, anche perché sinceramente non è mai arrivata una chiamata da parte di Cairo. Dico solo una cosa. Tanti bambini anziché andare nella scuola calcio del Toro, vengono da me, un motivo ci sarà? Forse qui a Torino qualcosa di importante ho fatto? Però mi è stato insegnato di non chiedere mai niente. Se un domani mi dovessero chiamare sarei aperto a tutti i discorsi, il Toro è casa mia"