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Data: 22/06/2016 -

Euro 2016 - Il 'quarto stato': la rivoluzione dell'Ungheria proletaria. E adesso gli ottavi di finale

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La vittima sacrificale del girone passa come prima classificata alla fase finale. Non è uno scherzo, né tantomeno un pronostico di qualche simpatico animaletto scelto come mascotte dell’Europeo. L’Ungheria accede agli ottavi di finale come prima classificata del gruppo F. Se la Nazionale degli anni ’50, che faceva impallidire le grandi di tutto il mondo, era ‘la squadra d’oro’, quella di questi Europei è più che altro ‘la squadra di acciaio’. Il collettivo ungherese ricorda, per compattezza, l’organizzazione che il Partito Comunista conferiva alla nazione negli anni del suo massimo splendore: nessuna individualità talmente spiccata da risaltare rispetto al gruppo, solo lavoro, lavoro e ancora lavoro. Tutto per la vittoria della squadra, l’unica causa per cui vale la pena spendersi.

L’artefice di questo miracolo è Bernd Storck, allenatore tedesco dal passato pressoché inesistente: collaboratore al Borussia Dortmund, poi la panchina del Kazakistan e quindi quella dell’Ungheria. Poco da rimestare dunque, solo l’analisi del cammino svolto fin qui: il girone di qualificazione vede la sorpresa Irlanda del Nord vincere il girone, davanti a Romania e Ungheria. Allo spareggio c’è la Norvegia, liquidata con un 3-1 totale. Nella classifica marcatori, leggiamo solo due calciatori con 2 gol (Nemeth e Bode) e ben otto con una sola segnatura. Ancora il collettivo che si ripresenta. Nel girone eliminatorio l’Ungheria si presenta come squadra materasso, finita lì solo grazie all’allargamento della competizione a 24 squadre e destinata a tornare a casa dopo tre partite, probabilmente in modo impietoso. E invece no, i magiari sono l’alter-ego di Puskas e compagni, mettono in secondo piano la qualità del gioco e puntano sempre al massimo. Prima la vittoria sull’Austria, poi il pari con l’Islanda grazie a un autogol all’88', infine un altro pareggio con due gol frutto di deviazioni. La vecchia guardia ungherese è in prima linea a difendere con i denti la propria porta: il recordman per anzianità Kiraly, con il suo pantalone lungo emblema di un calcio che non c’è più; il veterano Gera, che a 37 anni vuole ancora dire la sua; il talento mai esploso Dzsudzsak, con la sua voglia di rivalsa; l’attaccante Szalai, che non è un bomber ma esulta da tale sulle note di ‘gangnam style’. Non solo catenaccio e preghiere, ma una squadra che costruisce il proprio futuro passo dopo passo, grazie all’esperienza dei più anziani. Il segreto dell’Ungheria è proprio in questo: nell’umiltà dei suoi giocatori più rappresentativi e nella spensieratezza del vivere un’esperienza irripetibile. Con la speranza, per il 'quarto stato' di questo pazzo girone, di un lieto fine. Di Andrea Zezza


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