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Data: 30/05/2016 -

Estro, follia e...Ricardo Quaresma! Il Mustang, l'amore per i 'bolidi' e la trivela ritrovata

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Una storia di alti e bassi, di estro e follia. Una storia troppo 'pazza' anche per essere raccontata, che sfugge a ogni dettame logico-razionale: Ricardo Quaresma. Controverso, fuori dalle righe, imprevedibile. Il classico bello e dannato. Bello il suo modo di toccare la palla. Bella la sua falcata, le sue giocate. Dannato. Per quell’aurea mediocritas che non è mai riuscito a trovare, che forse a questo punto non fa per lui. Che lo rende così unico. A cominciare dai soprannomi, due in particolare. Harry Potter e soprattutto Mustang, cavallo puro di razza: perché a 18 anni quando giocava nello Sporting Lisbona con Cristiano Ronaldo (nello Sporting di CR e Quaresma, prego) era una scheggia impazzita, indomabile. E quel cambio di passo…

Era. Poi si è perso. Nella nebbia milanese, in un’avventura all’Al-Ahli che no, non faceva per lui, in vicende extra-campo. Estro e follia, allo stato puro. E quel pregio/difetto di non passare mai inosservato. Ma piace proprio per questo. Per il suo talento che sarebbe (condizionale d’obbligo) incredibile, per la trivela. Forse il gesto più emulato in oratori e campetti sterrati dal 2007 a questa parte. Un semplice tocco d’esterno, al quale però Quaresma riesce ad imprimere una forza pazzesca. Il segreto? “Da piccolo avevo i piedi storti e mi veniva naturale toccare la palla d’esterno”. Altri segreti? Ama le macchine di grossa cilindrata (si dice ne avesse in garage più di dieci!), i gioielli e colleziona orologi. Altro che aurea mediocritas…

Lo chiamano anche Ciganito (‘piccolo zingaro’) perché il papà è di origine gitana, mentre la madre è angolana. Lui va fiero delle sue origini. Lo sarà, forse un po’ meno, della sua avventura all’Inter. Colleziona un triplete, ma tra panchina e tribuna. Figurati se lo può far felice. Quaresma vuole e deve essere protagonista, sempre. La storia è nota: quel gol all’esordio contro il Catania su deviazione poi basta. Fine. Giù il sipario, per la delusione dei tifosi nerazzurri che da lui si aspettavano quel pizzico di follia, di sana follia per vincere. Ci riescono chiaro, ma senza di lui.

Se ne va, valigia piena di rimpianti. Perché quello lì doveva essere il nuovo crack del calcio portoghese. E invece diventa solo 'quello lì' senza nient'altro. Il fu Ricardo Quaresma a prendere soldi in Arabia, a far la bella vita con altri ormai colleghi. Con chi ha dato tutto e chi non ha dato un bel niente al mondo del football. Linea di demarcazione sottilissima. Ah, che epilogo triste Ricky…

Epilogo? No. Perché Quaresma è fonte (non rinnovabile, non esisterà mai un altro come lui) di continui colpi di scena. Si rimette in gioco, ritorna al Porto. Si sente, finalmente, amato e coccolato. Ritrova il sorriso, ritrova la voglia di far divertire quei ragazzini che vanno allo stadio solo per vedere la sua trivela o il suo tocco. Vellutato, delicato, unico. Ma con Ricky la normalità non esiste. E’ così capace di relativizzare tutto (la sua persona in primis)...  Torna, dunque, quella realtà troppo invadente per il suo modo di fare calcio: irrequieto e sregolato.

Torna in Turchia, al Besiktas. Tra espulsioni, rabone e colpi pazzeschi si porta a casa un campionato e la convocazione per l’Europeo. Chissà. Intanto lui non perde tempo. Portogallo-Norvegia, prima amichevole. Maglia numero 20, capelli rasati (fa strano, lui culturista di creme e cere) e dopo 10’ la magia. La ‘sua’ magia. Harry si accentra e con la sua bacchetta magica crea una traiettoria, un tiro (alias trivela) pazzesco. Che finisce in buca d'angolo con tale semplicità... Si prende la scena, gli applausi. Ride, incanta. In una sera di maggio così, nella quale Ronaldo era impegnato in altre faccende, tocca a lui. Come qualcuno, una quindicina di anni fa, infaustamente pronosticava. Perché in quello Sporting Lisbona c’era Ronaldo ok. Ma c’era soprattutto il Ciganito… ‘Nel 2003 Jorge Mendes ci offrì Ronaldo. Ma noi avevamo già preso Ronaldinho, Marquez e Quaresma’, un pensiero, così, dell’ex presidente del Barça, Joan Laporta.

Un artista del futbol, così dannatamente bohemien. Una carriera che solo a leggerla ti fa frullare per la testa mille pensieri e mille domande, alle quali è anche difficile trovare una risposta. ‘Ah se solo fosse caratterialmente diverso..’. ‘Sì, ma avrebbe lo stesso talento?’. Perché l’arte è anche e soprattutto follia. La magia è follia. E lui con quei piedi lì ne ha trasmessa di magia. Chissà tra qualche anno quando si rileggerà, ripenserà, rivivrà tutti quei momenti del ‘sarebbe potuto essere ma non è stato’. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza…



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