Finita in estate l'era di Arsene Wenger, l'Arsenal ha voltato pagina e l'ha fatto con Unai Emery in panchina. L'allenatore spagnolo ha raccontato ai microfoni di Sky Sports questi primi mesi ai Gunners: "Quando un club cambia manager è perché vuole qualcosa di nuovo - spiega Emery - la sfida sta nel mantenere le cose buone e cambiare e migliorare quelle che non vanno bene. E qui ce n'erano molte".
Quinto posto, -6 dalla zona Champions ma l'allenatore è convinto che quella intrapresa sia la strada giusta: "E' vero che pe ora siamo fuori dalla qualificazione in Champions, ma le cose stanno procedendo bene. Il livello di competitività è molto alto".
Ma Emery qualche difficoltà se l'aspettava: "Sapevamo che non sarebbe stato semplice, ma non ci manca nulla per raggiungere il nostro obiettivo. Vogliamo riportare l'Arsenal dove merita di stare, ma c'è bisogno di tempo".
Allenatore giramondo: "Dopo le mie esperienze in Spagna, Russia e Francia, credo che la gente qui veda il calcio in modo diverso. Qui lo vivono di cuore: il risultato è importante, ma c'è sempre un rispetto verso il calcio. Questo vuol dire che si può fare un lavoro più progressivo partendo dal basso. All'Arsenal è la prima volta che sento questa possibilità di partire dal basso per costruire qualcosa d'importante. Ci permette di lavorare più a lungo termine. Ora siamo in una fase di transizione nella quale cerchiamo equilibrio. Dobbiamo migliorare in difesa".
Sul futuro addio di Ramsey: "Alcune volte bisogna provocare delle frizioni con i giocatori, si può ottenere qualcosa di positivo. Come allenatore devi stare attento perché quella frizione può anche provocare una rottura della relazione, ma io credo sempre nel dialogo, perché alla fine la cosa più importante è che le qualità di un giocatore vengano sfruttate per il bene della squadra. Come allenatore, bisogna ottenere il massimo da quel giocatore e allo stesso modo assicurarsi che si adatti al resto della squadra".
L'allenatore vuole sempre ottenere il massimo dai suoi giocatori: "Sappiamo che alcune volte dobbiamo pressarli e spingerli a fare meglio. La psicologia è un aspetto che può aiutare. Quando giocavo in seconda divisione spagnola avevo sempre contratti di massimo due anni, ogni volta dovevo dimostrare tutto il mio valore. Ma non la chiamavo pressione, piuttosto requisito: devo giocare, devo farlo bene e devo vincere. Per ottenere il massimo in carriera, devi amare il tuo lavoro".
L'esperienza di chi la sa lunga: "Questo atteggiamento mi ha dato la base per il mio lavoro e mi ha aiutato a trovare nuove soluzioni in un calcio in continua evoluzione. Con i giocatori ho un buon rapporto. Quello che faccio io è interagire con la persona che ho davanti, non con il calciatore".