Fermi, prima di partire serve fare un passo indietro. Di 13 anni per la precisione. 22 maggio 2010, stadio Santiago Bernabéu di Madrid. Champions League e triplete dell'Inter, è apoteosi nerazzurra. Istantanee impresse nella storia. Dalla commozione di Moratti alla coppa alzata da Zanetti, passando per la doppietta di Milito e l’abbraccio di Mourinho e Materazzi. Un attimo, ne manca una. Manca quel ragazzo di 23 anni ripreso in lacrime, divenuto simbolo della gioia di un popolo intero: “Ero io”. Quel ragazzo è Edoardo Bianchi, il protagonista di questa intervista. Un tavolino di un bar nel centro di Monza, un microfono e inizia la storia: “Un’emozione essere diventato l’espressione di un sentimento così grande”. Sul volto un sorriso che ha in sé tante sfumature. Felicità, meraviglia e un po’ di incredulità. L’incredulità di quelle emozioni che sono tanto profonde da non riuscire ancora a realizzarle in pieno a distanza di anni.
Emozioni che scopri e conosci in tutto il loro essere solo un passo alla volta. Un ponte temporale tra quel 2010 e oggi: “Tuttora la gente mi scrive per ringraziarmi o salutarmi”. Da Madrid a Istanbul. Ricordi scanditi dallo scorrere del tempo e… dai colori nerazzurri: “Un viaggio d’amore”. Un viaggio che assume i tratti di un film. Per raccontarlo scorriamo le fotografie più significative. Fotografie di vita, di calcio, di Inter. “Perché non è solo uno sport”. A bordo di un Ducato, alla guida Edoardo. Si parte.
Fede e ricordi
Un rapporto che nasce da lontano: “Sono cresciuto in una famiglia interista. Mio padre e i miei fratelli mi hanno sempre portato con loro a seguire la squadra. I miei primi ricordi allo stadio sono della stagione 94/95”. Prima foto del racconto: “Il gol di Berti nel derby”. La memoria si fa più nitida: “Gli anni di Ronaldo. Non ho mai visto giocare nessun altro come lui”. E poi eventi che per intensità emotiva hanno rafforzato quell’amore: “Gli scudetti persi nel ’98 e nel 2001, le delusioni nei derby europei. Passaggi che hanno aumentato la carica di passione verso quei colori”.
Perché si sa, i legami crescono, anche, nella sofferenza e nella condivisione delle difficoltà. La prima maglia? “Mi ricordo nel ’98 mio padre che torna a casa con tutte e tre le divise ufficiali. Una di Recoba, una di Ronaldo e una di Kanu”. Dopo Calciopoli gli scudetti: “Quello che ho vissuto di più è sicuramente quello del 2010”. Anni di abbonamenti confermati e presenze a San Siro: “Di trasferte se riesco faccio quelle europee. Anche se in questa stagione non ne ho fatte. Proprio come nel 2010…”. Una risata parte spontanea. Una risata di scaramanzia e speranza. Perché alla fine, Madrid e Istanbul non sono poi così lontane. E la domanda sorge spontanea. In Turchia Edoardo ci sarà? “Sono riuscito a prendere il biglietto. Ora inizia il countdown”. 13 anni dopo.
2010
“La percezione che fosse una squadra forte c’era, ma nessuno immaginava che potessimo realizzare quella impresa”. La mente torna lì, a quella magica stagione. Un anno in cui lo sport si fonde al mito. Una estate, quella del 2009, segnata dall’addio di Ibra e l’arrivo di Eto’o, Milito e Snejider. L’olandese arrivato pochi giorni il derby di andata: “Massacrammo il Milan. Partita incredibile”. La Coppa Italia, il sorpasso in campionato alla Roma e la vittoria a Siena. Il preludio a un sogno. Il sogno di Madrid. Un viaggio iniziato sui… marciapiedi. “Una sofferenza riuscire a prendere quel biglietto. Alla fine si decise per la vendita libera alla Banca Popolare di Milano in via Massaua”. Odissea. “Ci siamo messi in coda il venerdì pomeriggio. Abbiamo dormito lì in strada e abbiamo preso il tagliando il sabato mattina”. Una l’immagine: “La via piena di gente, chi con le tende chi con i fornellini. Alcuni dormivano in macchina, altri per terra. Poi l’arrivo di Moratti e Mourinho che regalarono un biglietto al primo tifoso in fila”.
Lacrime di Inter
Partenza giovedì a mezzanotte da Cornaredo. Destinazione, Stadio Santiago Bernabeu. 8 amici con la maglietta con una stampa di Mourinho e un Ducato tappezzato di foto delle manette del portoghese: “Che viaggio. Ricordo i cori che partivano nei caselli o negli autogrill. Un’esperienza faticosa, ma indimenticabile”. L’andata come il ritorno: “Ho in mente l’arrivo al confine con la Francia. Juventini e milanisti che tornavano dal mare, noi interisti che cantavamo”. Nel mezzo, una finale di Champions. L’entrata nello stadio: “All’inizio io e i miei amici e i miei fratelli eravamo divisi. Poi mi spostai dietro la porta con qualcuno di loro ed è lì che mi ripresero”. Coincidenze che sanno di destino. Decisioni che regalano istanti eterni: “Milito segnò sotto di noi”. Un’immagine: “Lui che punta Van Buyten, alza la testa e sembra guardarci negli occhi. Ci dicemmo che avrebbe segnato”.
E poi il tocco e il ‘principe che diventa re nella notte di Madrid’. “Al secondo gol mi lasciai andare e iniziai a piangere. Mi ripresero in quei dieci secondi, ma era da mezz’ora che ero in lacrime”. Ricordi speciali. La rete e non solo: “L’intervallo. Avevamo tutti le bandierine della coreografia. Partì ‘Viva la vida’ dei Coldplay e tutti iniziarono a sventolarle a tempo e a cantare”. E poi nomi diventate leggende. Moratti: “Per lui è stato il coronamento di un sogno. Una immagine del calcio italiano. Il presidente”. Mourinho: “Mi vuoi far piangere (ride). Allenatore e condottiero incredibile. Era lo spirito di quella squadra”. Il capitano Zanetti: “Simbolo e leggenda. È l’Inter”. E Milito: “Speciale”.
Cuore
Gioia, lacrime, esaltazione e sfogo. Sfumature di emozioni racchiuse in un istante. Un’immagine che ha in sé la più intima e profonda essenza nerazzurra: “L’Inter è sentimento. È sofferenza e gioia, istinto e pazzia. E dentro quel pianto c’è tutto questo. Ci sono gli anni negativi, la rincorsa all’Europa, il coronamento di un sogno”. Lacrime entrate nella storia: “Inizialmente non mi ero reso conto dell’importanza di quella scena. Con il passare del tempo ho compreso che è stata identificata come simbolo della sofferenza e della esaltazione proprie del tifoso interista”. Una fama cresciuta negli anni: “Ancora oggi mi aggiunge sui social gente che mi dice che mi cerca da 13 anni per ringraziarmi. È un piacere essere stato l’immagine di così tanta gente”. Simbolo e rappresentazione più pura di migliaia di altri tifosi: “Sono entrato nel cuore di molte persone”. Il telefono che si riempie di notifiche: “Siamo in Piazza Duomo e sei su tutti gli schermi. Ma cosa piangi? Guarda che abbiamo vinto”. E aumentano le richieste di amicizia: “Ho compreso che rappresentavo tutti loro”. Con il tempo la capacità di comprendere l’intensità di quelle immagini: “Raffigurano cosa può essere e significare il calcio. Perché è vero, non è solo uno sport”. E a bassa voce, ‘non succede, ma se succede’: “Magari un tatuaggio”.
Istanti che racchiudono tutto. Istanti che assumono i tratti dell'eternità della storia. La semplicità dei sentimenti. La bellezza di emozionarsi. Perché in fondo si tratta di quello. Di emozioni. Oggi, come 13 anni fa. Le lacrime di Edoardo Bianchi.
A cura di Nicolò Franceschin