Sforbiciata, pallonetto, tuffo di testa, il tutto senza preferenze di categoria. Dalla serie A all'Eccellenza pugliese, Jeda è sempre stato democratico: ha un gol per tutte le classi. Quest'anno il "maestro" di Santarem ha scelto di nuovo la serie D e la doppietta di domenica scorsa contro il Pontisola ha sbloccato una mira che pareva inceppata. Amato a Crotone, Rimini, Cagliari e Vicenza, Jeda non tarderà ancora a farsi apprezzare anche a Seregno.
"Fino ad ora la stagione non è stata come me l'aspettavo" - dichiara Jeda ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com - "Io, tenendo anche in considerazione il mio passato, ritengo di poter aiutare di più la squadra. Spero di aver dimostrato al mister e alla società che ci tengo e in futuro di poter incidere di più per ripagare la loro fiducia. Il presidente ha grande cuore, è uno sanguigno. La settimana scorsa ho segnato una doppietta e questo mi ha reso felice perché è stata decisiva. Ieri abbiamo vinto di nuovo, le cose si stanno aggiustando. Anche se l'obiettivo era la promozione e ci siamo allontanati dalla vetta possiamo fare un buon campionato. Sento il rispetto di tutti i miei compagni e io cerco di ripagare dando il massimo durante la settimana. Se poi non gioco sempre non dipende solo da me.... Sono integro e ho ancora una grande voglia di giocare".
Sedici anni di carriera, gol per tutti i gusti e giocate di grande classe: 140 reti in carriera, 31 in serie A. Come è iniziato il sogno? "Io sono di Santarém, una città che non è di certo conosciuta per il calcio: si trova nel pieno della foresta amazzonica. Inoltre le squadre non erano professionistiche: non facevano parte del campionato statale. All'inizio davo priorità allo studio: ho fatto le magistrali, ma il giorno della consegna del diploma già non c'ero più. Arrivò la grande chiamata, da San Paolo, grazie a due miei ex compagni che mi segnalarono a un procuratore. In quel momento, quella scelta, il coraggio di lasciare casa, sono stati la vera svolta della mia vita. Puoi avere tutta la tecnica che vuoi, ma per lasciare casa così giovane ci vuole coraggio e testa. Non so quanti chilometri e quanti pullman ho preso quel giorno per arrivare a San Paolo: era la prima volta. Una settimana di prova bastò al Corinthians per mettermi sotto contratto e farmi entrare nella loro Primavera. Da quel momento la mia carriera ha avuto il suo corso, non senza difficoltà".
Chi ti ha fatto innamorare del pallone? "Il mio modello all'epoca era Romario, il punto di riferimento. Facevo di tutto per imitarlo e in fondo, fatte le dovute proporzioni, avevamo anche caratteristiche in comune. Non altissimi, buona muscolatura, elevazione e senso del gol... Il nostro modo di giocare era simile, anche se, chiaramente, lui era un fuoriclasse. In quel periodo era l'attaccante del Barcellona e della Nazionale, un idolo assoluto. Romario era quello che ammiravo di più, insieme a Edmundo e Bebeto. Squadra del cuore? Il Vasco da Gama, ma nel corso degli anni ho iniziato a tifare anche per il Corinthians, il club che mi ha dato la grande possibilità. All'epoca avevo diciassette anni e vestire la maglia del Timão era il massimo: tuttora è la mia squadra del cuore".
Vicenza e Crotone le tappe fondamentale: "La svolta arrivò nel 2001,con il Torneo di Viareggio: giocavo per l'Uniao Sao Joao. Mi notò il Vicenza e mi mise sotto contratto. Questa è il secondo momento chiave della mia carriera e la seconda decisione coraggiosa: lasciare il Brasile a 20 anni per un paese all'epoca totalmente nuovo.Devo tutto ai veneti perché mi hanno permesso di esordire in serie A e hanno creduto in me. Fecero di tutto per prendermi e per farmi crescere. Cominciai a gironzolare l'Italia e a Crotone, fortunatamente, trovai la consacrazione. Ero già grandicello, 24 anni, ma giocai veramente bene: 15 gol in campionato senza saltare una partita. L'allenatore dell'epoca era Gasperini, un maestro. Poi Rimini: tante reti e emozioni indimenticabili".
Il Crotone ha speranze di salvarsi? "Penso di sì. Palermo, Crotone, Empoli e Pescara lotteranno fino all'ultimo per salvarsi. Mancano ancora tante partite alla fine del campionato, può succedere di tutto. Dopo la vittoria sul Pescara hanno trovato un'altra sconfitta a Udine ma adesso hanno maggior consapevolezza dei loro mezzi". A proposito di sconfitte, ti saresti mai aspettato un Cagliari-Napoli 0-5? "Ci ho pensato tanto e una sconfitta così pesante, con un avversario particolare come il Napoli, al Sant'Elia non l'ho mai vissuta. Ma dico una cosa. Il Cagliari non è una squadra che deve vincere lo scudetto o andare necessariamente in Europa: l'obiettivo è salvarsi. I rossoblù sono tornati subito in serie A e, anche se perdere con il Napoli fa male, penso che la tifoseria debba essere contenta. Hanno trovato una brutta giornata anche a Empoli, ma i punti in classifica per fortuna sono sufficienti per stare tranquilli".
Consigli? "Alla squadra magari di evitare di incassare così tanti gol: rende più difficile digerire le sconfitte. Il consiglio che posso dare ai miei vecchi tifosi, ai quali voglio un mondo di bene, è di stare vicini a Rastelli e di pazientare. Il momento brutto passerà e la vita ci dà sempre l'opportunità per un riscatto. Non bisogna sfasciare tutto, non è mai stato nel DNA del popolo cagliaritano. Arriverà il momento giusto per puntare a qualcosa di più prestigioso della salvezza". Intanto Daniele Conti ha presentato la sua biografia... :"Davvero? Non lo sapevo, lo sto scoprendo adesso. Appena finiamo l'intervista gli telefonerò per avere una copia firmata (ride). E' bello che un giocatore come lui, che ha veramente una storia da raccontare, si renda immortale attraverso le pagine di un libro. Daniele ha lasciato il segno A Cagliari. Spero un giorno di poter fare una biografia anche io, sarebbe bellissimo".
Hai tanti tatuaggi, qual è quello più importante? "I tre con il nome di mio figlio, senza dubbio. Ne ho uno sul braccio destro, uno sul sinistro e uno sull'addome, tra i primi che ho fatto, quando è nato. Per me mio figlioè tutto. Cerco di passare la maggior parte del tempo libero con lui. Per il resto mi piace seguire altri sport, tutti tranne il calcio, vietato parlarmene quando voglio rilassarmi (ride di nuovo). In particolare mi piace il Basket, penso che in Italia stia facendo grandi progressi, ma l'NBA è un'altra cosa. Adoravo Kobe Bryant per anni è stato un modello per tutti gli sportivi. Mi piacciono anche il rugby e il volley". Cosa racconterai ai tuoi nipotini? "Non un episodio in particolare ma un insegnamento. Di avere coraggio. Io sono uscito di casa giovanissimo, hoaffrontato un mondo totalmente diverso a quello al quale ero abituato. C'era la consapevolezza che poteva andarmi male, ma nella vita se non provi ti rimarrà sempre il dubbio. Ecco, quel passaggio lì, il distacco dalla famiglia, l'assumersi delle responsabilità e dei rischi. Spero serva da buon esempio per i miei figli e i miei nipotini".