Se oggi Nicolau chiude gli occhi, pensa a Napoli, ai suoi tifosi e allo stadio San Paolo, oggi Maradona. Si immagina con le braccia alzate davanti a 50mila persone che urlano il suo nome dopo con un gol, segnato con la nove azzurra sulle spalle. Poteva essere, ma non è mai stato. Una stagione nel 2010/11, nove partite, zero centri e tanti prestiti.“Mi spiace per come sono andate le cose a Napoli. Io ero tra i migliori della mia generazione e non mi è stata mai data un’occasione di dimostrare il mio valore. Credo che nella mia gestione siano stati fatti diversi errori. Mi hanno sempre mandato in prestito e non ho mai avuto la possibilità di trovare continuità. Poi io sicuramente ci ho messo del mio”. Rimpianto. ‘Colpa’ anche di quel Matador che ogni domenica faceva impazzire la curva a suon di gol. “Cavani era unico. Siamo arrivati a Napoli insieme. Lui non saltava una partita, aveva una fame che in un calciatore non ho mai più rivisto. Credimi era un animale, eppure fuori dal campo con quella faccia da bravo ragazzo non lo avresti mai detto…” .
Nicolau riavvolge il nastro, racconta e ricorda. “A Napoli il clima era bellissimo, avevamo uno spogliatoio di matti che mettevano la musica a palla in continuazione. In particolare Lavezzi. Poi però in campo, apriti cielo. Tirava fuori giocate che ti lasciavano a bocca aperta, con il pallone faceva quello che voleva. Non lo prendevi mai”. Sorride, si ferma e poi riprende, magari con un pizzico di malinconia. “Quante nottate passate a giocare alla playstation con Hamsik e Santacroce! Su Marek che dire, era fortissimo. Giocava con l’esperienza di un trentenne già quando ne aveva poco più di venti. In campo era di un’intelligenza unica”. Classe al potere.
Adesso Dumitru ha 31 anni ed è il centravanti del Bnei Sakhnin, squadra che gioca ad Haifa in Israele. Tra grattacieli e palazzi ultramoderni ha trovato la sua isola felice. La cosa che ti colpisce appena ti risponde al telefono è l’accento, toscano doc. Lui che ha iniziato a giocare nell’Empoli quando aveva sette anni. “Ci siamo trasferiti lì con la mia famiglia ed è iniziato il mio viaggio nel mondo del calcio. Conservo bellissimi ricordi. L’esordio in Serie B a sedici anni, il Napoli e tutte le varie tappe. Oggi sono qui e ho ancora voglia di dire la mia. Cercando di dimostrare che magari in passato qualcuno sul mio conto ha preso decisioni sbagliate”.
In mezzo una carriera da giramondo. Italia, Spagna, Grecia, Inghilterra, Romania, Corea e ora Israele. Lui che è nato in Svezia, a Nacka, due passi da Stoccolma, da padre Brasiliano e mamma rumena. Sembra un rompicapo. Nicolau è quindi abituato a spostarsi fin da piccolo. “Non ho mai avuto problemi. Più che altro mi è dispiaciuto non poter essere mai rimasto nei posti in cui mi trovavo bene, come ad esempio in Spagna. Sia all’Alcorcon che al Gymnastic stava andando tutto alla grande, poi tra infortuni e cambi di dirigenza… sono stato fatto fuori. A Tarragona - dove gioca il Gymnastic - abitavo vicinissimo alla spiaggia e dalla finestra guardavo il mare. Era uno spettacolo”.
Il presente oggi si chiama Bnei Sakhin. “All’inizio ero curioso e non mi aspettavo di trovarmi così bene. Ora sono pronto a dimostrare il mio valore e ripartire. In fondo ci sono abituato. Sono rimasto molto colpito da Haifa, è una città che va a mille all’ora. Per quanto riguarda il calcio, guai a considerarlo arretrato. Studiano un sacco e cercano di emulare lo stile di gioco europeo. Pressing alto e tanta corsa. Ti assicuro che non lo dico perché sono qui, ma perché hanno stupito anche me”. E Nicolau lo avrebbe detto volentieri anche alla Juve, prima della partita contro il Maccabi, giocata proprio ad Haifa. “Ne parlavo con mio fratello poco prima della partita. Gliel’ho proprio detto ‘se non stanno attenti e non l’hanno preparata bene, soffriranno’. È così è stato. Loro sono molto fisici e hanno trentamila persone che li spingono dall’inizio alla fine”.
“Sono sempre stato abituato a ripartire”. Lo ha ripetuto spesso nella chiacchierata, come fosse il mantra di un percorso che lo ha visto più volte ricominciare da capo. Ora lo farà da Israele. D’altronde qualunque fosse il posto del mondo, Dumitru si è sempre adattato. Questione di abitudine. Gli basterebbe trovare solamente un po’ di continuità, per tornare a essere felice.