“Lo sport è un potente mezzo per fare il bene e noi non lo abbiamo usato nel modo più efficace, come avremmo dovuto. Possiamo fare di più e lo faremo”. Così la Federazione americana di calcio ha tolto il divieto di inginocchiarsi durante l’esecuzione dell’inno nazionale (in Germania, lo aveva fatto Thuram), come forma di protesta contro il razzismo. Una decisione in piena linea con il movimento “Black Lives Matter”, al quale hanno partecipato diversi calciatori e sportivi statunitensi a seguito della morte di George Floyd.
Il gesto di Megan Rapinoe
Dalle parole si è passati ai fatti. E, dopo tre anni, la norma riguardante il “kneeling” è stata abolita. Il primo a praticare la genuflessione durante l’inno - tradizionalmente ascoltato in piedi - è stato, nel 2016, il giocatore di football americano Colin Kaepernick. Il quaterback dei San Francisco 49ers pagò caro il gesto di protesta contro i soprusi della polizia verso le persone di colore: il suo contratto venne rescisso e il giocatore non fu più ingaggiato da nessuna squadra.
Come segno di solidarietà, nel 2017, la calciatrice Megan Rapinoe lo imitò (la sua storia): da quel momento, il “kneeling” fu vietato anche nel mondo del pallone americano.
"Non possiamo cambiare il passato, ma fare la differenza in futuro"
D’ora in poi, però, nessuna ulteriore limitazione. Anzi - prosegue il comunicato -, “starà ai nostri giocatori determinare come possono utilizzare al meglio i loro mezzi per combattere tutte le forme di razzismo, discriminazione e disuguaglianza. Siamo qui per i nostri giocatori e siamo pronti a supportarli nell'elevare i loro sforzi per raggiungere la giustizia sociale. Non possiamo cambiare il passato, ma possiamo fare la differenza in futuro”.