Il van che lo accoglie una volta atterrato all’aeroporto di Los Angeles, gli occhi incantati di chi scruta fuori dal finestrino un mondo nuovo. Diego Rossi, un ragazzo uruguaiano in Usa. 19 anni, accanto a lui Vivian, la fidanzata del liceo diventata moglie. Lei l’inglese lo sa bene, infatti si iscriverà al college per studiare microbiologia.
Lui, invece, lo mastica poco. Sì, l’ha affrontato a scuola, però ricorda solo i fondamentali. Tuttavia Diego è un ragazzo atipico. La prima intervista con i Los Angeles FC la inizia in spagnolo, la sua lingua: “Muy grande y mucho trafico". Tradotto: sì, Los Angeles mi piace, ma che traffico…
Poi, siccome è uno testardo, prova a spiegarsi in inglese nonostante le difficoltà. Ora, al suo secondo anno negli Stati Uniti, si sa esprimere molto meglio. Ed è più a suo agio anche in macchina, nel caos delle strade di LA: “Alla fine è come in campo. Devi essere intelligente, devi cercare gli spazi”.
Diego Rossi di mestiere fa il calciatore. Gioca in attacco, punta ma non solo. Si muove ovunque, è tutto dribbling e velocità, ma ha anche un bel destro. Lo hanno paragonato a Bojan ma pure a Montella, che potrebbe presto diventare il suo nuovo allenatore. Commisso e Barone, infatti, stravedono per lui e lo vogliono portare alla Fiorentina.
L’Europa è il grande sogno di Diego. Classe ’98, nato a Montevideo. I primi calci, però, li ha tirati una ventina di chilometri più in là, a Solymar. Lì la spiaggia, il mare e El Queso, la sua prima squadra. Poi l’Uruguay Solymar fino a 12 anni, infine la maglia del cuore, quella del Peñarol. Lo scopre una leggenda del calcio uruguaiano, Nestor Goncalves, che lo invita ad un torneo amichevole ad Alegrete. In Brasile. Ci mette poco a convincersi.
Al Peñarol condivide lo spogliatoio con Federico Valverde, che ora gioca nel Real. Diego segna a raffica, come i 42 gol in 27 partite con l’U14. Un predestinato. Lo considerano tutti il centravanti dell’Uruguay del prossimo decennio.
L’esordio con i grandi arriva nell’aprile del 2016, quando è appena diventato maggiorenne. Gioca con Forlan, suo idolo da sempre. Vince da protagonista due campionati, poi Juan Pablo Angel – un passato da attaccante e un presente da osservatore - lo porta in America. Los Angeles, sponda opposta ai Galaxy. Il LAFC fa il suo esordio in Mls nel 2018, Diego segna il primo gol della storia del club nella massima serie.
17 reti al primo anno, 14 quelle segnate fino ad oggi nel secondo. C’era anche lui quando Ibra fece impazzire l’America nel giorno del suo esordio. Non gli ha chiesto la maglia, perché è timido e preferisce osare solo con chi conosce. Ad aprile ha segnato tre gol al DC United. Rooney lo ha steso con un calcione che gli è costato il rosso diretto, ma l’ammirazione di Diego nei suoi confronti era troppa per arrabbiarsi: “Anzi, si è perfino scusato”, dirà. Figurati.
Adesso è primo in classifica. Vela, suo compagno di reparto, lo chiama “Old Soul”, vecchia anima, perché Diego Rossi ha 20 anni ma sembrano di più: “E’ molto umile e maturo”, dice di lui l’allenatore Bob Bradley, che il primo giorno lo prende da parte e gli dice: “Mostraci la tua personalità”. E’ stato accontentato.
A Diego manca il cibo di casa sua, si accontenta con il messicano piccante. Le trasferte gli pesano anche se è un ragazzo, perché l’America è immensa e l’avversario più vicino sta ad almeno due ore di aereo. In Uruguay il calcio è una religione, negli Usa è il quarto o quinto sport. In Italia sarebbe diverso, l’Europa è il suo sogno. La Fiorentina è pronta ad esaudirlo.