Ci sono dei momenti in cui il calcio anche lontano dal campo di gioco riesce a dare il meglio di sé. Anche quando l'attualità racconta di viaggi che in realtà sono fughe, di futuro che vuole essere sinonimo di speranza. C'era una volta... un barcone. E' così che iniziano alcuni racconti. E poi... un "mare", di sogni, che a volte vengono spenti dall'acqua, altre si realizzano. Può bastare solo un pallone, un pizzico di talento e l'occhio giusto che ti osserva. Come è accaduto ad Abdoulie Dampha oppure a Lamin Jawo. Il primo dal Ghana, il secondo dal Gambia e adesso entrambi in Serie B. In mezzo il viaggio, la fuga e infine l'Italia, e il calcio italiano, che li hanno accolti. Dampha col Trapani, Lamin adesso al Carpi e il calcio come comune denominatore per un futuro da scrivere con il sorriso in volto e un pallone tra i piedi. E quanto è bello vedere e sentire come Dampha in Sicilia è diventato 'Totò', o come Lamin ricorda il suo primo provino: "Manco dovevo farlo, mi sono presentato così, senza essere tesserato per nessuna squadra, solo con la mia voglia di giocare e il mio sogno nel cuore". Sempre con un pensiero a chi hanno lasciato, la famiglia, i genitori. Così lontani, così vicini: quelli di Lamin che lo spronavano a studiare e adesso tifano per lui, e la mamma e le sorelle di Dampha a cui il giocatore vuole comprare una casa perché adesso può dare loro una mano.
Un aiuto. E allora tornano in mente anche quelle sere d'inverno in cui l'Olympiacos è 'sceso in campo' e al Porto del Pireo di Atene la squadra ha iniziato a distribuire ai migranti lì sbarcati vestiti, cibo e (inevitabilmente) palloni. Tutto per dare un calcio alla malinconia, anche solo per un po'. Un gigante degli sport come il calcio ridimensionato dalle pagine più buie dell'attualità e che nel suo piccolo, come in questi casi, concede più di novanta minuti di speranza. A volte una vita intera.
C'era una volta un barcone ed ora non c'è più. Storie di migranti e di come il calcio ha giocato e talvolta vinto con loro le partite più difficili.