L’abbraccio diceva già tutto, le parole hanno aggiunto poco: “Sono contento per lui perché è un ragazzo su cui non ho dubbi”. E un Sousa così forse a Firenze non si era mai visto. Sul gol di Federico Chiesa il portoghese si scatena, quasi entra in campo, lo abbraccia e lo strattona. Sorridente, felice. Orgoglioso. L’aria di quelli che “ve l’avevo detto”, perché il portoghese sul figlio d’arte ci ha puntato eccome. Gli allenamenti in prima squadra l’anno scorso, il ritiro di Moena, l’esordio da titolare in Serie A allo Stadium. Contro la Juventus. Con la maglia della Fiorentina. “Perché l’ha lanciato così?”. Sousa sicuro: “Perché diventerà una bandiera della Fiorentina”. Boom, investitura mica da poco per un ragazzo che porta quel cognome lì. Un cognome che la storia, a Firenze, l’ha fatta davvero. Una storia che si è chiusa in un lampo, in quel colpo di testa che è valso alla Fiorentina vittoria e primo posto nel girone. Il modo migliore per festeggiare le 10 presenze tra i professionisti, a neppure 20 anni. Un lampo che ha azzerato oltre 15 anni di tempo, perché 5548 giorni dopo un altro Chiesa segna con la maglia viola. Era il 30 settembre 2001, quella in casa contro il Venezia fu in un colpo solo l’ultima rete e l’ultima partita di papà Enrico con la Fiorentina. Poi il crack che lo tenne fuori una stagione intera, e l’addio in estate dopo il fallimento. Adesso è sbocciato Federico, non più soltanto un figlio d’arte. Anche se la maglia nei pantaloni e i colpi ricordano tanto papà Chiesa, Fede ha qualche centimetro in più d’altezza e un po’ meno di fiuto da bomber. Fa l’esterno, a tutta fascia. Lo ha sempre fatto anche quando non sembrava poi una promessa così brillante. Nei giovanissimi viola non giocava praticamente mai. Lui, genovese di nascita per puro caso perché papà aveva smesso di giocare alla Sampdoria da tre mesi. Classe ’97, spesso e volentieri aggregato ai ’98 perché almeno lì poteva dire la sua. Non benissimo.
Il decollo lo fa negli Allievi, perché Guidi - che ora allena la Primavera viola - abbandona il 4-4-2 con cui erano abituati a giocare prima. Per forza, davanti c’erano Betti e Colato, muscoli e centimetri che a quell’età fanno la differenza. Per Federico, esterno a tutto campo, spazio ce ne era poco. E glielo ha trovato l’altro Federico, Guidi appunto. Ma di quell’annata il “crack” doveva essere Bangu. Stessa età, molto più rumore e attenzioni intorno al congolese. Sousa li ha osservati entrambi, adesso Luzayadio è in prestito alla Reggina e Chiesa in prima squadra. A San Siro è entrato senza paura, tre giorni dopo è sceso in Primavera a dare mano agli ex compagni in Coppa Italia contro la Juventus. Assist e gol, così. Anzi goal, all’inglese. Perché Chiesa jr alla scuola “all’italiana” ha preferito la International School of Florence. Lezioni in inglese, un po’ di francese. Compagni di classe da tutto il mondo, dall’America al Giappone. Dalla quinta elementare fino ai 18 anni, neppure compiuti. Perché la high school lì dura 4 anni e gli ha permesso di iscriversi ancora da minorenne a “Scienze motorie”. Perché ora vuole conoscere come funziona il suo corpo. Il ragazzo perfetto, papà Enrico lo ammira orgoglioso senza però voler entrare nella sua carriera. Vuole lasciarlo libero, “aiuti non ne ha mai avuti ve lo assicuro” ha detto Guidi in una recente intervista. Lui, il padre calcistico. Enrico, quello naturale. Entrambi orgogliosi del loro “figlio” che dai fallimenti ha sempre saputo rialzarsi. E’ cresciuto nella Settignanese, a due passi da Coverciano. Lì dove sicuramente un giorno tornerà, perché l’azzurro e il suo talento si sposano bene insieme. E perché papà Enrico, che lo ha anche visto affrontare da vicino la Sampdoria che allenava lui in Primavera, sotto sotto ci spera. In estate lo voleva la Spal, Semplici aveva allenato il padre e sognava di fare il bis. La Fiorentina se l’è tenuto stretto, su suggerimento di Sousa. “Sarà una bandiera”, disse. Federico, timidamente, rispose che se non si fosse affermato alla Fiorentina o nel mondo del calcio avrebbe avuto mille altre possibilità davanti a sé. Beh, dopo stasera (se mai ce ne fosse stato bisogno) diciamo che non ci sono più dubbi. Può bastare quell’abbraccio, di uno che ha vinto due volte la Champions, per un’incoronazione.