In campo bisogna dare l’anima. Sempre. Che sia quello dove ci si gioca una finale di Champions o quello dell’oratorio non conta. Non importa se si vince o si perde. L’unico modo per sentirsi bene è mettere il sudore e il cuore in ogni pallone calciato. Gli Insuperabili in questo senso non hanno rivali, diciamo che sono forti come il Barça di Guardiola e i Bulls di Michael Jordan. Il loro essere speciali però deriva dalla consapevolezza di quanta fatica sia necessaria a fare un gradino, ad alzare un braccio, a regolare la potenza di ogni gesto. Ed è per questo forse che quando siamo andati a vedere una sessione di allenamenti pomeridiani a Grugliasco, (campo degli Insuperabili Reset Academy di Torino), ci siamo resi conto di quante energie investono su ogni centimetro d'erba, di quanto si danno da fare in ogni ruolo, della voglia che hanno di riabbracciarsi dopo aver bisticciato per un fallo non dato. Quel lunedì siamo arrivati alla fine delle partitelle. Allenatori, educatori e psicologi, provvisti di cronometri, tabelle e schede personalizzate, si dividevano tra le diverse formazioni: Prima Squadra, Primavera, Berretti, Giovanissimi e Primi Calci.
Denominatore comune a tutti era un entusiasmo contagioso: si incitavano l’un l’altro senza tregua: “Passa, tira, corri, goool!!!!”. Poi, a partita finita, un grande cerchio, tutti vicini e in silenzio ad ascoltare gli allenatori; anche se in realtà la nostra presenza un po’ li ha distratti, perché da lì a poco ci sarebbero state foto e interviste con il loro idolo, Gianluca Di Marzio, che è riuscito a mettere in piedi una succursale degli studi Sky, con tanto di calciomercato: c’era chi sognava il gol di Locatelli, chi chiedeva Donnarumma e chi Ilaria D’Amico (col benestare di Buffon, s’intende!); c'era chi elencava i marcatori di Serie B e chi ci raccontava del diario su cui annota ogni partita giocata. Ma il loro bisogno più reale era ed è quello di essere trattati come calciatori professionisti (ambizione che ha ispirato questo progetto di Reset Group) e su quei campi, non c’è dubbio che lo fossero. Un pomeriggio intenso, poche ore per sorridere insieme e restare impressionati dalle emozioni che questi ragazzi (e bambini) dispensano a chiunque li circondi. Abbiamo imparato che per gli Insuperabili il campo non conta, ma le persone sì: i genitori che cercano con lo sguardo quando segnano o parano un gol, gli amici che gli fanno il tifo, le educatrici di cui qualcuno ha confessato di essere innamorato. E conta anche quello sport meraviglioso per cui dentro e fuori dal campo, danno l'anima. Tutta.