Ancora tu, ma non dovevamo vederci più? Un anno dopo la storia si ripete, la finale di Copa America è ancora Argentina-Cile. Ma questa è più speciale, è quella del Centenario. Pizzi contro Martino, Bravo contro Romero, Vidal contro Biglia, Vargas e Sanchez contro il duo Messi-Higuain. 365 giorni dopo (o quasi) si riaffronteranno le due sudamericane più forti del momento. Inutile specificare quanta voglia di rivalsa ci sia in casa Albiceleste (a caccia della Quindicesima: finora solo l'Uruguay ne ha vinte così tante), dopo la sconfitta in finale ai rigori della scorsa edizione. La Roja però non ha nessuna intenzione di abdicare, sogna di bissare il trionfo ottenuto a Santiago. "Va por la Segunda". Insomma, i motivi per restare incollati davanti alla TV domenica notte ci sono tutti. Ma cos'è cambiato rispetto ad un anno fa?
ARGENTINA - La metamorfosi più importante la offre la Selección. Poche le vittorie convincenti lo scorso anno. Aguero e compagni erano allergici al gol, un controsenso per loro: vincevano quasi sempre di misura e a fatica. Addirittura contro la Colombia furono decisivi i rigori, dopo uno scialbo 0-0. Solo contro il Paraguay arrivarono gol e vittoria insieme. Stavolta la musica è diversa. Tutti trionfi, con gare dominate dall'inizio alla fine. Sfida ancora più sentita poi per El Tata Martino, alla sua terza finale di Copa. Per ora i precedenti sono da incubo: due finali, due ko. Oltre a quello dello scorso anno, infatti, c'è anche la delusione del 2011, quando si piegò all'Uruguay con il Paraguay. Non c'è due senza tre: un vecchio detto che l'ex Barcellona spera di smentire domenica.
A dire il vero, la rosa albiceleste non è cambiata chissà quanto. C'è sempre la stella Messi, che però quest'anno sembra saper essere decisiva anche in Nazionale. C'è sempre Higuain, arrivato stavolta però dopo un anno che l'ha elevato a miglior bomber della storia del campionato italiano e tra i numeri uno del mondo. Con la voglia di vendetta dopo il rigore sbagliato lo scorso anno. Ci sono sempre Mascherano, Otamendi, Romero, Rojo. Adesso però c'è la classe di Banega, l'equilibrio di Augusto Fernandez o Biglia, c'è la rivelazione Gaitan chiamato a sostituire Di Maria. Quest'ultimo c'è, ma l'infortunio l'ha tenuto fuori finora. E un infortunio terrà fuori anche Lavezzi, lesionatosi il gomito contro gli Stati Uniti. Qualcosa è cambiato, qualcosa è rimasto uguale. Ma la metamorfosi sembra essersi compiuta nella testa.CILE - Un anno dopo, le differenze sono molte. Nel 2015 la squadra di Sampaoli era più compatta e segnava di meno, sfruttava gli episodi che offriva la partita, batteva gli avversari (anche) sul piano mentale. Dai quarti in poi è stato un batticuore continuo, le vittorie di misura contro Uruguay e Perù parlano chiaro. Con Pizzi i numeri sono diversi. Ah, a proposito del c.t.: per lui sarà una sfida nella sfida, visto che è nato a Santa Fe ma ha passaporto spagnolo. La Roja, cilena e spagnola, è sempre stata nel suo destino. E con lui si ha avuto un forte ricambio generazionale.
Lo ricordate Valdivia? L'anno scorso fu tra i migliori della competizione, quest'anno è solo un ricordo lontano. Non convocato neanche, un colpo al cuore per gli amanti del calcio poetico e dei numeri spaziali. E poi c'è il Pek, il 'nostro' Pizarro. O meglio, c'era il Pek. Perché è un altro che quest'anno è rimasto a casa. Chiavi del centrocampo ad Aranguiz, insieme a Vidal. E adesso troviamo Orellana, Puch, Silva. Il nuovo che avanza, un ricambio che forse andava fatto da Pizzi, che la pesantissima eredità di Sampaoli l'ha saputa gestire. Il suo Cile non ha fatto sconti a nessuno, ha sofferto solo all'inizio (ko proprio con l'Argentina e vittoria in extremis sulla Bolivia), dopo a suon di gol ha superato tutti gli ostacoli. 7-0 al Messico e 2-0 alla Colombia su tutti, successi frutto di due partenze sprint. Potrebbero fare la differenza. Segno che anche l'atteggiamento è cambiato. Vendetta o Segunda? Lo scopriremo domenica notte a New York.