38 anni e il desiderio di continuare almeno per altre due stagioni. Non pesano le primavere sulle spalle di Stefano Sorrentino, tornato in estate al Chievo dopo tre anni al Palermo. L’esperto portiere oltre a rendersi protagonista tra i pali, ha scritto la sua autobiografia ‘Gli occhi della Tigre’, scritta per sua stessa ammissione un po’ presto: “Lo so, di solito si scrive la propria biografia appesi i guanti al chiodo, ma manca poco anche per me… Però, voglio parare in Serie A fino a 40 anni e spero di raggiungere questo mio obiettivo”. In tuffo sulla tastiera: “L’idea è nata in vacanza con il mio amico Marco Dell’Olio, da quattro chiacchiere da spiaggia. Lui mi ha spinto, ma io ero dubbioso: la gente vuole roba curiosa o che faccia scalpore, qualche scoop, vicende piccanti. Io potevo offrire la mia lunga carriera, la mia vita e la mia storia. Di me magari sanno tutto per i 95’ in campo, ma nulla nei restanti 38 anni di figlio, papà, della mia separazione, dei viaggi, di cosa ti porti dentro, i pensieri, le preoccupazioni, le gioie. E c’è anche uno scopo benefico”. Gli occhi della tigre erano cari a Julio Velasco, guru della pallavolo: “Ma io li ho presi da Rocky, il pugile: mi danno forza e coraggio. E li ho messi anche sotto la divisa... Mi dicevo: si cambiano i portieri e io resto… titolare, una sfida nella sfida che si rinnova da anni e mi tiene sul pezzo. Ogni giorno, così, provo a dimostrare che non sono il più scarso del campionato” – dichiara Sorrentino ai microfoni di TuttoSport.
Bravo sul campo non tanto sui libri: “Non sono un grande lettore. Purtroppo. Ma un po’ ho recuperato con il mio libro, visto e rivisto per intere nottate passate a correggere, a cambiare, a riscrivere per spiegare meglio”. E quando smetterà cosa farà Sorrentino? “In realtà ancora non lo so, perché mi sento ancora tanto calciatore. Quel giorno, però, arriverà. E credo mi verrà un po’ di ansia, ne patirò, è sicuro. Adesso, ogni tanto ti viene da dire: mamma mia che palle i ritiri, poi mancheranno, lo so; sono parte della mia quotidianità da quando ero ragazzino. Non so se resterò nel mondo del calcio. Non mi vedo allenatore, comunque, forse più dirigente-manager, ma non si sa mai… Il sogno nel cassetto è duplice: aprire uno stabilimento balneare, visto il mio amore per il mare, o, visto quello per gli animali, mettere su una fattoria per tornare alle origini, con l’orto, le galline. Ho ancora due anni con il Chievo per chiudere in bellezza nel massimo campionato. Quando sono tornato, ho firmato un triennale con opzione, mi sono chiarito con il presidente Campedelli che stimo e con i tifosi. Voglio concludere con questi colori la mia carriera”.
Juventus prima, poi Torino: sembra una storia di cappa e spada: “Giovanili bianconere sino alla Primavera quando la società mi ha lasciato libero; hanno fatto la loro scelta. Così, sono passato al Toro ed è stata la mia fortuna. Sono stato scartato e ho avuto un’altra possibilità. Nelle difficoltà del momento, con la crisi societaria, in granata c’erano grandi giocatori, come Balzaretti, Quagliarella. Io devo tutto al Toro che mi ha fatto debuttare in B e in A. E’ un legame forte, vero. Quando indossi la maglia granata e sei allenato da Claudio Sala che ti inculca certi valori resti segnato dentro, ti viene la pelle d’oca, poi, quando vai a Superga il 4 maggio. E che effetto rivedere il Fila”.