Lo chiamano ‘ambasciatore del diavolo’ ma a lui non importa: “Sono un allenatore, non un politico”. L’importante è lavorare: “Nazioni e valuta non hanno peso quando alleni”. Per la serie: “Il calcio è uguale per tutti”. Anche per i dittatori: Erick Honecker, Saddam Hussen, Aleksandr Lukashenko e Bashar al-Assad. Germania Est, Iraq, Bielorussia e Siria. En plein.
Bernd Stange non “ha mai visto Saddam”, ma ha rischiato la vita con i missili Stinger di Damasco durante la guerra civile, oppure dopo aver visto una pallottola trafiggere la mano del suo autista dopo averlo fatto scendere dalla macchina.
Stange allena la Siria dal 2018 ed è impegnato in Coppa d’Asia, nel 2016 aveva detto basta dopo tre anni a Singapore ma ha optato per l’ennesima sfida, forse l’ultima di una carriera con più ombre che trofei.
GERMANIA CALLING
Per la Stasi era Kurt Wegner, il più classico degli Inofizieller, gli informatori non ufficiali al servizio di Erich Mielke. La Germania Est ne aveva circa 100mila, Stange era uno di loro, nonché allenatore della Nazionale dall’82 al ’88. Il suo compito? Assicurarsi che i calciatori non attraversassero il Muro di Berlino, o che non avessero a che fare con l'Ovest. Anche se lui ha sempre negato: “Storia vecchia, nessuno è mai riuscito a dimostrarlo in modo concreto”. I documenti della Stasi - resi noti ai tedeschi dopo la caduta del muro - dicono di sì. La Germania si riunifica ma lui tiene botta: guida Carl Zeiss Jena, Hertha Berlino, Lipsia, Dnipro e Cska di Kiev.
Stange continua ad allenare ma non vince nulla, per tre anni si rifugia in Australia e non rilascia interviste. Isolamento totale, viene cacciato dall'Ucraina perché il suo passato alla Stasi non era tollerato: “Potevo iniziare a vendere scarpe o a gestire un concessionario di auto. Ho preferito continuare ad allenare”.
Nel 2001 arriva l’Oman, ma l’esperienza dura poco. Un solo aneddoto degno di nota. La nazionale deve giocare contro l’Uzbekistan, ma i tre giocatori migliori arrivano in ritardo: “Erano andati a fare shopping!”. Stange li mette fuori squadra, ma il ministro dello sport non ci sta: “Sono i più forti, dobbiamo vincere”. Il ct non ascolta e perde: “Sono stato licenziato mentre ero sul volo di ritorno”. C’est la vie, ma arriva un’altra chance, quella che cambia tutto: l’Iraq di Saddam Hussein.
DALL'IRAQ ALLA BIELORUSSIA
È il 2002, Stange accetta senza problemi, ma quando gli Stati Uniti invadono il paese l’anno successivo la federazione tedesca lo richiama a casa. Lui prepara i bagagli ma non se la sente di lasciare quel popolo che lo chiama “capitano”. Il paese è in guerra, lui continua il suo progetto: "Mi sentivo come un architetto". Anche se la "casa" è priva di palloni, non ha le divise o i campi da gioco, la squadra si allena con la paura. Un giornalista gli domanda se rivedrà i suoi giocatori alla ripresa degli allenamenti, lui risponde "non lo so".
Inizia a scrivere lettere a tutti i capi di governo, da Berlusconi a Tony Blair. Contatta perfino gli Stati Uniti, gli “invasori”, tant’è che viene fotografato con il segretario di stato americano ed è l'inizio della fine: “Sono stato minacciato, bollato come traditore, accusato di aver accettato doni dai nemici”. Sopravvive perfino a un attentato, il suo autista è meno fortunato. Il suo Iraq vincerà la Coppa d’Asia del 2007, a lui nessun merito.
Allena per due anni l’Apollon Limassol e vince gli unici trofei della carriera (campionato e Supercoppa cipriota), ma nel 2007 accetta la proposta della Bielorussia, il paese che gli Stati Uniti hanno definito “l’ultimo baluardo della tirannia in Europa”, governato da Lukashenko dal ’94. Lui tiene fede alla sua linea e "scalcia" gli scettici: porta la Nazionale al 36esimo posto nel ranking Fifa - il migliore di sempre - e batte l’Olanda nel 2008, salutando tutti nel 2011.
IL SOGNO DELLA SIRIA
Game, set, match, e invece no: Stange ha 70 anni e allena ancora, guida la Siria in Coppa d’Asia (ha pareggiato 0-0 all’esordio contro la Palestina). Poteva godersi la vita a Jena, ma niente: “Mi annoiavo”. Meglio allenare quindi, magari un altro paese complesso, alle prese con una guerra civile che dura da 7 anni. Da Honecker ad Assad: “Se bombardano Damasco leggo la paura negli occhi dei miei giocatori”.
Stange ha viaggiato per tutta la Siria alla ricerca di talenti, ha visto città distrutte come Aleppo e Homs, tifosi senza una casa. Il suo obiettivo è portare un po’ di serenità tramite la Coppa d'Asia. Allontanando la guerra dagli occhi dei suoi, almeno per un attimo, e quel soprannome che si porta dietro, magari per sempre.