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Data: 07/02/2017 -

Chapecoense, Artur: "Non possiamo sostituire nessuno nel cuore dei tifosi: siamo qui per aiutare"

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Chapecoense, scelta di cuore. E' quella che ha fatto l'ex Siena e Roma Artur Moraes, che ha deciso di tornare in Brasile dopo 10 anni e di difendere i pali del club brasiliano, che ha perso 19 calciatori nell’incidente aereo dello scorso novembre. Artur spiega, nel corso di un'intervista concessa a Extratime, come è maturata la sua scelta:

"Stavo maturando da tempo il ritorno in Brasile. Penso ora di finire qui la mia carriera, vedere mio figlio crescere più vicino alla famiglia. Avevo giocato con Vagner Mancini, il nuovo allenatore della Chapecoense, al Paulista di Jundiaí nel 2003, lui era a fine carriera, io all’inizio. L’invito è partito da lui. Non siamo venuti qui per sostituire nessuno nei cuori dei tifosi. Vogliamo aiutare a ricostruire e andare avanti. È il nostro progetto. Dappertutto la città è coinvolta con la squadra: nei locali, per le strade. Si vede nel viso delle persone il sentimento per tutto quello che è successo. Ma la vita continua, i tifosi si meritano una squadra forte. La città fra l’altro è bella, con tanti palazzi dai nomi italiani, ottimi ristoranti, e la zona produce buoni vini".

Obiettivi della nuova Chapecoense? "Prima di tutto dobbiamo ripartire. Avere un modello di gioco. Siamo 25-28 giocatori nuovi. È ancora presto per porsi degli obiettivi. Soprattutto si deve avere umiltà prima di pensare a vincere". Sull'esperienza europea: "Arrivai a Siena nel 2007, sono stato poco lì. Dopo 6 mesi un’esperienza col Cesena in Serie B e poi la Roma. Ci arrivai in un momento difficile, nel 2008, con Spalletti in panchina. Però sono stato titolare quando Doni si infortunò. Poi nel settembre 2009 Ranieri sostituì Spalletti e allora non ho avuto più opportunità. Avevamo un bello spogliatoio, tanti brasiliani, ancora oggi con Doni parlo quasi tutti i giorni, e sento spesso pure Cicinho, Julio Baptista. Tra gli italiani De Rossi e Perrotta mi sono rimasti amici. Quando posso vedo qualche partita della Roma in tv".

Serie A? Una palestra: "In Italia ho appreso il lavoro specifico del portiere, la competitività, la mentalità vincente. Si può dire che ho raggiunto la maturità. Il gioco è più veloce e verticale rispetto al Brasile, c’è più fisicità, i calciatori sono più forti. Bisogna imparare a pensare in italiano anche perché il portiere ha il compito di trasmettere ordini alla squadra". Su Alisson: "Ha molte qualità e un grande avvenire: è tranquillo, esce bene dalla porta, è rapido, sa giocare con i piedi. Si sta sviluppando velocemente. Ma bisogna avere pazienza. Il portiere che sfonda è quello che ha più pazienza. E poi ci vuole tempo per adattarsi al calcio italiano. La sua opportunità arriverà".

Panoramica sui migliori interpreti del ruolo: "Nel mondo Buffon e Cech. Giocano da tempo e ad alti livelli. Dei brasiliani, oltre ad Alisson, mi piacciono anche Rafael, che ha fatto un ottimo campionato col Cruzeiro, e Weverton, dell’Atletico Paranaense". Chiusura dell'esperienza europea con il brivido: "Negli 8 anni precedenti in Europa avevo giocato in un calcio più organizzato. In Turchia ho vissuto situazioni confuse, mi sono pure infortunato. Il 15 luglio 2016 stavo cenando ad Ankara con un amico quando ho sentito delle sparatorie, il rumore degli elicotteri: era il tentativo di colpo di Stato, fallito, contro il presidente Erdogan. Meno male che la mia famiglia non c’era all’epoca, facevamo ancora la pre-stagione. E anche gli stipendi arrivavano sempre in ritardo. Comunque poi mi pagavano. Però è davvero un bel Paese".



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