“Sono cresciuto a Napoli, nei Quartieri Spagnoli ai tempi della più grande faida di sangue, fra il 1996 e il 2000. Giocavo fra i vicoli con gli altri bambini quando gli spari e i morti ammazzati erano routine. Si aspettava il carro funebre, portavano via il cadavere e si ricominciava a giocare”. Album dei ricordi in mano, sguardo all’indietro: si racconta, Fabio Pisacane. Al Corriere della Sera, il terzino del Cagliari ed ultimo giocatore a segnare al Milan, ha ripercorso la propria storia. A partire dal coma: “A 14 anni ero nelle giovanili del Genoa. Una mattina mi svegliai e non riuscivo più ad alzare le braccia: ero stato colpito dalla sindrome di Guillain Barré, una malattia che attacca il sistema nervoso portando alla paralisi. Eppure la malattia non è venuta per uccidermi ma per completarmi”.
Il gol al Milan, già. Tra i ricordi più dolci i Pisacane, che ora spera che anche altri suoi compagni possano togliersi la stessa soddisfazione: “Mi auguro che a questo punto sia di nuovo un giocatore del Cagliari a interrompere l’inviolabilità di Donnarumma domenica sera”. Prima di quel famoso 28 maggio, però, una carriera spesa tra Serie B e Lega Pro. “Ma era già una grande conquista. In ospedale prima pensavo solo a vivere. Anche se mio papà mi ha raccontato che un giorno sbottai: “Se non posso più giocare, allora è meglio morire”, ammette Pisacane, ambasciatore Fifa. Ai tempi del Lumezzane, denunciò di essere stato contattato dai boss della Camorra per truccare un incontro: rifiutò, venendo nominato ambasciatore da Blatter: “Ringrazio il Lumezzane che mi ha consigliato, protetto e indotto a prendere la decisione giusta. Avevo 25 anni e non era semplice gestire certe situazioni. Eppure non me la sento di giudicare chi ha ceduto al ricatto: è come valutare un libro dalla copertina. Bisogna conoscere le motivazioni che ci sono dietro: in fin dei conti non mi sento più onesto di chi si piega a una combine, forse solo più coraggioso. Io ambasciatore? Grazie a Blatter a dire il vero. Ma anche con Infantino ora ho un ottimo rapporto: mi ha invitato alla partita delle Leggende, dopo il suo insediamento. Fra tanti campioni non c’entravo proprio niente”.
In chiusura, il sogno Nazionale e quel tatuaggio per Giorgio: “Il mio sogno fuori dal cassetto è la Nazionale. Di tatuaggi ne ho 28 ma quello a cui sono più legato è una mano ritratta sulla coscia destra con la scritta “Giorgio”. È dedicato a un volontario dell’ospedale che mi trattò come il figlio che non aveva. Ora calcio con il destro e in fondo penso che dietro ci sia anche il suo contributo”.