A volte Clark Kent, a volte Superman... Eternamente, e più semplicemente, Gigi Buffon. Una prestazione monstre a Lione per allontanare le critiche piovute dopo un paio di disattenzioni tra Nazionale e match contro l'Udinese, e per ricordare a tutti che in fondo, nell'olimpo dei migliori, non ci si arriva per caso. Dell'ultimo, particolare periodo vissuto (e non solo) il portiere della Juventus ha parlato ai microfoni del Corriere della Sera, partendo da un aneddoto sull'ultima gara di campionato:
"Sabato vincevamo 2-1 con l’Udinese: a 15’ dalla fine si avvicina Perica e mi dice: “Ti faccio gol”. Io gli ho risposto: "Guarda che me lo stanno facendo tutti, se vuoi far notizia non segnare! E mentre lo dicevo, ridevo come uno scemo. E pensavo: meno male che sono così e mi aggrappo alla follia per uscire da certi momenti. L'errore per me è qualcosa che mi provoca uno choc: non sono abituato, capita e faccio fatica ad accettarlo. Autocritico? Moltissimo. Continuo a darmi scudisciate psicologiche e morali per tanti giorni: da me non accetto certi errori. E le critiche, a costo di essere masochista, mi piacciono. Mi stimolano. Se non le accettassi, dovrei smettere di lavorare. Mi stizzisco quando toccano certi argomenti: ho 22 anni di carriera alle spalle, penso di aver dimostrato qualcosa. E l’ultima stagione buona non l’ho fatta tre anni fa: sono stato protagonista dell’Europeo, dentro e fuori dal campo. Per cui stiamo un po’ calmi".
Dagli errori alla partita super di Lione, passando anche per le passioni tramandate ai figli e per il futuro: "E' stata una prestazione normale. Io gioco per dimostrare di essere diverso dagli altri: a 38 anni posso fare delle cose che gli altri non hanno mai fatto. Questa è la mia sfida. Le figurine? Ora le compro ai miei figli. Mi fa piacere tramandargli questa passione. I due bambini grandi sono ossessionati dal pallone e questo mi fa un po’ di paura. Ma si divertono tanto. E non giocano in porta. Campo o scrivania nel futuro? Il campo è la parte più bella, ti regala emozioni che danno senso alla vita. Un ruolo di allenatore con la sua quotidianità non mi piacerebbe. Un ruolo da c.t. invece non lo escluderei a priori: mi rimarrebbero le emozioni del campo, ma anche un po’ di libertà per dedicarmi ad altre cose".
Spazio poi alla prossima sfida contro il Milan: "Sulla carta la Juve è la più forte ed è un dato di fatto. Sul campo sta vincendo ma deve migliorare, perché se abbiamo velleità europee non ci può bastare quello che stiamo facendo ed esprimendo in campo adesso. Bacca? È un rapace. E se i numeri dicono la verità, vuol dire che segna, perché l’anno scorso ha fatto un tiro e gliel’ho parato. Mi auguro che venga fermato prima, ma ha fiuto del gol, sa sempre dove va la palla. Il Milan dei giovani mi piace tanto. Ha un allenatore avanguardista, che ha personalità, dà serenità e ama osare. Sembra il progetto della Juve di qualche anno fa. C’è solo bisogno di tempo e di esperienza per migliorare. E Donnarumma, nonostante sia il triplo di me,è come se fosse un fratellino. È un ragazzo particolare, molto pacato: alla sua età io ero completamente diverso. È riflessivo, intelligente, ha delle qualità straordinarie. Ha tutto per fare la storia del ruolo. Bisogna solo aspettare 20 anni e tirare le somme".
Un Milan che diventerà presto cinese, percorso già avviato dall'Inter: "È la sconfitta del calcio italiano. Dell’Italia come Paese, delle tradizioni, di tutto: devi ritrovarti a ringraziarli e a dire grazie per essere venuti. Ma abbiamo ciò che meritiamo, siamo volubili, senza un senso di appartenenza radicato e la storia lo ha sempre dimostrato: chiediamo l’identità italiana, ma se l’italiano dopo 30 anni vive un momento di difficoltà con 5 anni da 10° posto, allora non lo accettiamo". Chiusura tra prossimi impegni bianconeri, compagni e curiosità: "Juve-Napoli sarà importante: se tu, nel momento di difficoltà di una rivale riesci a vincere, dai una ulteriore botta alle sue velleità e sicurezze. Di Higuain mi hanno colpito professionalità e la positività. Sfido chiunque a venire come attaccante più pagato e più forte e fare quattro panchine: eppure è un esempio dentro e fuori dal campo. Avevamo bisogno di gente così. Come anche Benatia o Dani Alves: la scelta dei nuovi è stata eccezionale. La Champions? Non sono disposto a fare un voto, perché credo alla meritocrazia: se ce la meritiamo la vinceremo, altrimenti". E sul braccialetto in memoria di Morosini, che non toglie mai: "Dicono la morte sia uguale per tutti. Ma c’è modo e modo nella dignità con cui si muore. La sua è stata la distruzione del luogo comune che i calciatori giocano solo per i soldi e per la fama. Mario ha lottato nonostante l’arresto cardiaco, ha cercato di rialzarsi. E lo ha fatto per la passione e per l’anima che ci metteva nel suo lavoro. È stato un riscatto per tutti i giocatori e una mazzata definitiva all’idea che il calciatore gioca solo per i soldi: tutti lavorano per guadagnare, ma ognuno ci mette l’animo e i sentimenti che ritiene migliori".