Quando esce dallo spogliatoio, non ci crede ancora. Occhi persi a scrutare nel vuoto, la bocca che si muove praticamente da sola. Alex Cossalter ha vissuto una giornata schizofrenica. Aveva segnato sempre nelle ultime tre partite. Un gol agli ottavi, uno ai quarti e un altro in semifinale. Risultato? Mister Troise lo fa cominciare dalla panchina nella finalissima: “Beh, inutile nascondersi – ammette - non nego che ci sia rimasto male per la sua scelta”. Poi però arriva il suo momento. Entra in campo al 64’ e trova il pareggio a due minuti dalla fine. Un tiro da posizione defilata, con la palla che entra quasi soffiando: “Ma il mio sinceramente era un cross. Amo tirare forte nel mezzo. Se nessuno la tocca, la palla va dentro…”. Ha tirato forte anche dal dischetto. Suo il primo rigore, con la traversa che gli dice di no. Mani nei capelli, girandola di emozioni.
Il Bologna a Spezia non è arrivato da solo. Sì, ci sono Di Vaio e Bigon. Ma, soprattutto, c’è tutto il settore giovanile, che assiste alla partita dalla tribuna. I ragazzi urlano, si fanno sentire. Provano a contrastare il tifo dei tanti genoani. Al gol di Alex impazziscono tutti, uno soprattutto. Si tratta di Thomas, l’altro Cossalter. Che ha 15 anni e che ha deciso di imitare il fratello maggiore. Entrambi hanno fatto le valigie destinazione Bologna, salutando Feltre. Lì hanno lasciato mamma Sonia e papà Giorgio, presenti alla finalissima del Viareggio: “Questo trofeo lo dedico a loro”. Risposta diretta a chi glielo chiede. Gli è stata consegnata anche la coppa del capocannoniere, perché c’è anche lui fra gli otto che hanno finito il Torneo a quota quattro gol.
Il calcio un affare di famiglia dunque. Lo zio Stefano e papà hanno smesso solo pochi anni fa. Quest’ultimo, quando tornava a casa, passava molto tempo in giardino con Alex e Thomas. Poi, quando il primo compie cinque anni, lo carica in macchina e lo porta al campo del San Vittore. Lo lascia lì e fa inversione. Alex è timido, rimane sempre fuori dal campo perché di giocare con gli altri non ne vuole proprio sapere. Alla fine però comincia e non si ferma più. A 15 anni, quando dovrebbe giocare negli Allievi, è già fra i professionisti con la Union Feltre. Diventa maggiorenne con oltre 60 partite alle spalle. Il suo allenatore lo definisce il piccolo Romario, perché questo ragazzo che parte sulla sinistra per poi accentrarsi glielo ricorda troppo.
Le grandi squadre nazionali cominciano ad osservarlo. Su di lui piomba anche la Juventus, non male per chi ha Del Piero, Dybala e Bonucci come idoli. Bussano alla porta Sassuolo, Genoa e Verona. Niente da fare però, Alex rifiuta. Vuole una squadra che punti seriamente su di lui, che lo faccia sentire importante. Il Bologna, appunto. Che lo lascia senza parole grazie alla sua organizzazione: nove campi da calcio, un campus in centro con tanto di mensa e altri servizi. Un convitto dove i giocatori alloggiano in stanze da due o quattro persone. Mangiano sempre tutti insieme, come fatto anche la sera della vigilia. Prima di ritirarsi nelle proprie stanze, vanno tutti da lui per fargli l’in bocca al lupo in vista della finale. Per questo il gol con cui pareggia la rete di Bianchi vale doppio.
A scuola non sopportava il latino. Ma gli piaceva una professoressa di italiano, che gli faceva sempre i complimenti dopo aver letto il suo nome sui giornali. Chissà cosa gli darebbe se fosse ancora in classe con lei. Intanto a battergli il cinque saranno i ragazzi della prima squadra, che hanno festeggiato direttamente davanti alla tv dell’infermeria di Casteldebole: “Poterli vedere entrare e uscire ogni giorno dalla palestra vuol dire toccare con mano ciò che hai sempre sognato – spiega Alex – ma la strada è lunga, non ho fatto ancora niente”. Che bella cosa è l’umiltà.