Il ritorno a Bergamo ormai alle porte e la consapevolezza di ritrovarsi cresciuto, anno dopo anno, in un ruolo da allenatore capace di regalare anche al suo Bologna buone soddisfazioni, per un ottimo avvio d'annata che ha portato i rossoblu a ridosso della zona Europa. Roberto Donadoni è pronto ad affrontare la sua Atalanta domenica all'"Atleti Azzurri d'Italia", di fronte ad una realtà che ha ben conosciuto a 360°: "I sapori, le sensazioni quando avvicinavo un giocatore della prima squadra: rimangono unici e indelebili anche a distanza di tanti anni - racconta a La Gazzetta dello Sport - I ragazzi di oggi questi sapori non li sentono più ed è un peccato. A Bergamo ho avuto educatori e allenatori che mi hanno fatto diventare quello che sono adesso. Sono stati artefici del mio carattere ed è un patrimonio importante. Per me casa è un po’ ovunque, dove c’è la mia vita. Io sto bene dappertutto. Per me è casa anche il centro sportivo del Bologna. L’Atalanta è l’esempio che il mio Bologna deve seguire, è sempre stato un esempio importante per tutto il calcio italiano. Per gestione, lavoro con i giovani, la crescita continua".
Spazio poi al rendimento della sua squadra: "Il potenziale offensivo è ancora inespresso. Una squadra come la nostra non può avere un bottino così misero. E in un momento positivo bisogna saper incidere ancora di più. Il Professionista con la P maiuscola in questi frangenti non si adatta, non si adagia, non si accontenta. Il segreto è il lavoro di squadra. Per limitare gli avversari accorciamo sempre, non concediamo ripartenze e stando corti poi diventiamo produttivi in fase offensiva anche con centrocampisti e difensori. Abbiamo già utilizzato tre moduli diversi, proviamo tanti movimenti, i meccanismi sono studiati. E un protagonista su tutti è Rodrigo Palacio, tra le note liete insieme a Poli: "Palacio è un grande professionista, un grande giocatore e una grande persona. A 35 anni è un esempio. Ha portato vitalità nuova, ama fare le cose per bene. E’ gustoso allenarlo. Poli può fare cinque o sei gol all’anno e sarebbe gratificante per lui e importante per la squadra. E vale anche per gli altri centrocampisti. Destro? Mattia ha grandissime potenzialità, ma deve ricordare il proverbio che dice: “Aiutati che il ciel ti aiuta”. Ciascuno di noi deve fare in modo che le cose accadano. Destro deve mettermi in difficoltà".
Un bilancio della propria esperienza in panchina, poi, tra ciò che è stato, è...e poteva essere: "I due anni a Bologna sono stati intensi, belli, importanti, positivi. Club e squadra stanno evolvendo insieme, poi ci sono momenti positivi e negativi. Nel campionato scorso, ad esempio, potevamo fare meglio, ma non eravamo ancora maturi. Non tornare c.t.? Allenare la Nazionale è l’ambizione più grande, ma scelsi di onorare l’impegno che avevo preso col Bologna. Io mai in una big? Non mi pongo domande a cui non posso dare una risposta. Evito ogni cosa che sia perdita di tempo o di energia. Penso solo a fare il massimo. Se le valutazioni sono fatte su altre cose non dipende da me. Si vede che il Milan non mi ha mai ritenuto all’altezza o ha pensato che altri fossero meglio di me. La fine dell'era Berlusconi mi ha lasciato il pensiero che si sta invecchiando. E non è piacevole".
Chiusura tra apprendimenti e ricordi: "Il lavoro di Sacchi e Sarri? Ci sono cose in cui si avvicinano. Hanno avuto entrambi illuminazioni importanti. Delle esperienze da giocatore a New York e in Arabia Saudita porto a casa tutto, a New York ho capito che nel calcio ci si poteva anche divertire. Al Milan c’erano troppe pressioni, in America ho riscoperto il gusto del gioco. Mi portavo la roba a casa e la lavavo, era un altro mondo e ci stavo bene. Presi casa nel New Jersey per comodità e per non essere circondato dal cemento. Vivevo Manhattan da turista. Ecco, se tornassi indietro resterei lì a giocare rifiutando la proposta del Milan anche se poi rientrando vinsi lo scudetto con Zaccheroni. In Arabia ho vissuto situazioni che non avrei potuto capire dai racconti altrui".