Il volto ruvido e quell'espressione severa, in rima baciata con una stazza imponente, hanno spesso creato fraintendimenti. L'ossimorica natura di Bruno Bolchi era tutta nel suo soprannome: il "Maciste buono", un richiamo affettuoso al celebre personaggio del Gabriele d'Annunzio regista, rappresentazione cinematografica nei film muti italiani dell'eroe Ercole.
Ma dietro un uomo possente e dotato di grande forza come Bolchi, prima allenatore e poi giocatore, si nascondeva la forma più pura di empatia umana e professionale. A provarlo sono il suo passato, i tanti protagonisti del calcio che fu - tra ex compagni e allievi - e anche i risultati ottenuti. Nella serata di ieri, martedì 27 settembre 2022, Bruno Bolchi si è spento all'età di 82 anni. Le sue imprese e i passaggi di vita, però, sono tutti racchiusi nelle grandi memorie del calcio italiano.
All'Inter tracce di matura gioventù e la prima figurina Panini
Quando Bolchi cominciò con l'Inter, nonostante i soli 18 anni, fu impossibile non notarlo. Un "ragazzino" alto quasi 1 metro e novanta, colonna inamovibile - nel senso letterale del termine - del centrocampo nerazzurro. Con gli anni, però, per l'Inter diventò davvero difficile da spostare dal campo, anche metaforicamente.
A dargli il soprannome di "Maciste" fu Gianni Brera, e i connotati da eroe ercolino vennero subito riscontrati nei trionfi nerazzurri. Sei anni con l'Inter, a 21 divenne capitano di una formazione che vantava future leggende come Giacinto Facchetti e Tarcisio Burgnich, ma soprattutto lo Scudetto vinto nel 1963, al secondo anno di Helenio Herrera. Bolchi fu un autentico idolo, tanto che due anni prima del successo in campionato, la Panini lo scelse come testimonial per lanciare le celebri "figurine", ancora oggi immortali. Il primo volto a essere stampato fu il suo, e così la passione per il collezionismo nel mondo del calcio italiano diventò un fenomeno nazionalpopolare. Un po' come lo stesso Maciste, che dopo l'addio all'Inter - proprio l'anno prima che i nerazzurri vincessero la Coppa dei Campioni - iniziò a girare tutta l'Italia.
Bolchi, l'allenatore giramondo e mago delle promozioni
Il "tour" calcistico del Bolchi giocatore dopo l'Inter (e la Nazionale, con cui collezionò 4 presenze) durò poco: solo 10 anni tra Verona, Atalanta, Torino e Pro Patria. È proprio qui che decise di ritirarsi dal calcio giocato per seguire una vocazione ancora più forte di quella da gladiatore in mezzo al campo: allenare in - quasi - ogni piazza d'Italia. A 31 anni la fase di transizione da giocatore-allenatore come vice alla Pro Patria, poi in giro per lo Stivale, partendo dalla Pistoiese.
Sono ben 28 i "mandati" da allenatore ottenuti da Bolchi durante la sua carriera su ben 20 panchine diverse. Da Nord a Sud, passando per piazze come Cesena, Pisa, Avellino e tante altre. Il fil rouge che unì l'Italia in nome di Maciste fu tessuto nei suoi successi. Oltre ad essere un "girovago" tra le varie squadre italiane, Bolchi si guadagnò la grande nomea di "mago delle promozioni". Durante la sua carriera ne ha ottenute ben 6, di cui 2 in Serie B e 4 in Serie A con club come Lecce, Reggina e Cesena.
L'impresa col Bari
Nonostante le sue innumerevoli esperienze, l'apogeo della carriera da allenatore di Bolchi risale ai tempi di Bari. Come ricorda lo storico barese Gianni Antonucci, lì fu "accolto con sincerità ed amicizia". Ed è proprio con queste stesse qualità che Maciste ricambiò l'affetto della piazza, restituendo a tutti i tifosi il calore meridionale sotto forma di successi. In soli due anni - i primi con Vincenzo Matarrese come presidente biancorosso - scrisse una delle pagine più belle della storia del Bari: la doppia promozione dalla Serie C alla Serie A.
Con il diesse Franco Janich, suo eterno rivale ai tempi delle "botte agonistiche" in campo, Bolchi trovò la sinergia giusta per rilanciare il club biancorosso. Ma oltre alle due grandi cavalcate in campionato, l'impresa più romantica resta ancora oggi quella in Coppa Italia, al primo anno da allenatore del Bari nella stagione 1983/84. Arrivati agli ottavi di finale come outsider di Serie C, i biancorossi affrontarono la Juventus di Trapattoni e Platini, tra le migliori squadre d'Europa dell'epoca - tanto da vincere in quello stesso anno lo Scudetto. Ma per Maciste, eroe ercolino, le imprese non facevano paura.
Il Bari riuscì a vincere per 1-2 a Torino nella gara d'andata, per poi chiudere i bianconeri allo Stadio della Vittoria sul risultato di 2-2 davanti a 40.000 tifosi, qualificandosi al turno successivo. Il caso - o forse no - volle che proprio qualche giorno dopo Papa Giovanni Paolo II si recasse per la prima volta in visita a Bari, nella stessa città in festa che alcune settimane prima accolse gli eroi biancorossi all'aeroporto. Il successo, poi, si trasformò presto in un tripudio con la vittoria ai quarti contro la Fiorentina di Antognoni. Solo il Verona - che l'anno successivo avrebbe vinto lo Scudetto - riuscì a fermare in semifinale il gladiatore Maciste e la sua truppa biancorossa.
Nonostante l'eliminazione in Coppa, la pagina calcistica di Bolchi a Bari resterà sempre tra le più trionfali della sua storia. Lo stesso club ha deciso di dedicargli un minuto di raccoglimento e indossare la fascia con il lutto al braccio nella gara contro il Brescia, in programma sabato 1 ottobre. Al di là dei successi, poi, l'allenatore milanese ha lasciato un'impronta netta - oggi quasi nostalgica - in ogni piazza in cui ha giocato o allenato. Con uno sguardo duro, una stazza imponente, ma sempre caratterizzato da empatia, "sincerità e amicizia". La stessa con cui il mondo del calcio gli dà l'ultimo saluto. Ciao "Maciste buono".