Bielsa: "Per me il calcio è gambeta, è dribbling: il suo gesto più alt...
Close menu
Chiudi
Logo gdm
Logo gdm
logo
Ciao! Disabilita l'adblock per poter navigare correttamente e seguire tutte le novità di Gianluca Di Marzio
logo
Chiudi

Data: 16/05/2017 -

Bielsa: "Per me il calcio è gambeta, è dribbling: il suo gesto più alto e più bello"

profile picture
profile picture

"Il calcio è gambeta, è dribbling: il suo gesto più alto e più bello": idee chiare per il "loco" Marcelo Bielsa. L'ex ct dell'Argentina e del Cile ha sfiorato la Lazio la scorsa estate e adesso ripartirà dal Lilla, in Francia. In occasione della sua recente visita all'Università di Perugia, Bielsa ha concesso una lunga intervista a ExtraTime, toccando vari temi.

"Il calcio è gambeta, è dribbling, il suo gesto più alto e bello, non si può insegnare o modificare" - attacca Bielsa- " Però se non se ne fanno più di dribbling, devo pensare a come aggirare e superare l’avversario. Il calcio è il primo tema di conversazione nel mondo. E ha una cosa particolare: che a volte vince anche chi prima della partita è sfavorito o peggiore. Questo fa sì che si radichi in modo molto forte nei settori più popolari della società. Per me ­l’hincha, il tifoso, è insostituibile, dà messaggi emozionali forti. La vittoria o la sconfitta lasciano su di lui un’impronta emotiva. Il lunedì il tifoso ha segni di quel che è successo la domenica. Ho vissuto in Messico e lì ho conosciuto un basco che era stato esiliato. L’esilio ti allontana dai tuoi luoghi ed è molto doloroso, insomma lui era uno specialista nella sofferenza. Gli chiesi “cos’è la cosa più importante per un uomo?”. “Essere amato senza condizioni”, mi disse. Ecco, il tifoso è così: ti ama in cambio di nulla. C’è una frase che ho letto a Siviglia e ho avuto all’inizio difficoltà a capire: ti amo anche se vinci. Cioè il rifiuto alla ricompensa (la vittoria) per aumentare il significato del legame affettivo. Cioè non importa nemmeno la vittoria, ti amo in cambio di nulla".

Tirata d'orecchie al calcio moderno: "L’industria che è ora il calcio ha dimenticato il tifoso. Girano cifre che dovrebbero far arrossire di vergogna. Soluzione? L’emozione. Quella, appunto, che prova il tifoso. Io proverò di nuovo a suscitare emozioni forti nei miei calciatori. Perché se i giocatori hanno la responsabilità di emozionare gli altri, allora loro per primi devono provare emozioni forti. È un paradosso, ma è così: per essere ottimi professionisti devono vivere con lo spirito da dilettanti, devono sapersi emozionare ancora. Il calciatore e il tecnico sudamericano sono più legati al momento “creativo”, al dribbling come dicevo. Quelli europei invece pensano di più al collettivo. Ecco perché a me piace allenare in Europa. Anche se il calcio italiano negli ultimi anni aveva toccato il fondo, mentre quello tedesco è cresciuto, ha saputo costruire e allevare talenti. Il migliore è quello che arriva più in alto ma non in assoluto bensì considerando da dove è partito. Perché il più bravo in partenza non ha merti: ha ereditato tutto dalla sua genetica. Nel calcio io pretendo la passione per sviluppare le proprie qualità. E al migliore diamo privilegi, invece dovremmo dargli obblighi in più, perché i privilegi provocano individualismo. Ma se una squadra è unita non significa che vincerà di sicuro. Però è certo che se è disunito il team, non si vince".

Gli schemi di Bielasa: "In 30 anni avrò visionato oltre 50 mila partite. E gli schemi base sono 10, non di più: 5 con la difesa a 4 e 5 con la difesa a 3. Eccoli: 4­-3-­3, 4-­2-­1-­3, 4-­3-­1-­2, 4-­2-­4, 4-­2-­2-­2 come la Colombia di Maturana e Valderrama. A 3 dietro: 3­-3-­1-­3 (il suo primo modulo, ndr), 3-­4-­3, 3-­4-­1-­2, 3-­3-­4 e 3-­3-­2-­2, molto inusuale". Sul soprannome. el Loco: "Deriva da quando iniziai ad allenare nelle giovanili del Newell’s. Di solito ogni tecnico aveva 3 team di tre categorie. Io chiesi di allenarne soltanto una, per dedicarmici completamente. Ero il primo ad arrivare al lavoro e sempre l’ultimo ad andar via, perché ero già allora molto ossessivo, studiavo tutto, ogni minimo dettaglio. Così i miei colleghi mi iniziarono a chiamare el Loco, ma in modo molto affettuoso. Ecco, se me lo si dice così non mi dispiace, se è per prendermi in giro invece no. Il mio modello è stato Van Gaal. Avrò studiato oltre 250 partite delle sue squadre. Quando, verso la 170ª gara, ho azzeccato i cambi che stava per fare, mi sono reso conto di aver assimilato il suo pensiero".

Approccio "psicologico" con i calciatori: "Ho ideato oltre 200 domande standard per capire un giocatore, ma ormai me ne bastano 5. Volete sapere le più usate? Per esempio chiedo: che ne pensi della povertà? Per me argomento base. O: cos’è la cosa che ti piace fare di più? O i 5 film o libri che più hai amato? Uso lo stesso metodo per le persone comuni. Il film che mi è piaciuto di più, e sono un divoratore di cinema, è stato Il Padrino. Vorrei non averlo mai visto per rivederlo come se fosse la prima volta. Poi vi consiglio Il cittadino illustre, del 2016 che rappresenta l’Argentina agli Oscar. Leggo poco invece i giornali". Il prototipo di allenatore: "Si distinguono in due tipi: quelli che intervengono, e altri che accompagnano. Quelli che correggono e quelli che stimolano. Chi lavora sulla correzione dell’errore e chi sulle cose fatte bene. Chi lavora sull’autocritica e chi sulla dimenticanza di ciò che s’è sbagliato. Ma vincono entrambe le tipologie. Solo non vince chi si traveste nei panni dell’altro tipo. Il calciatore non si lascia ingannare . Per me però non sono alla pari chi combatte per vincere e prende rischi rispetto a chi per paura questi rischi non li prende. Meglio non ottenere punti cercandone 3 che ottenerne magari uno senza provare a vincere".



Newsletter

Collegati alla nostra newsletter per ricevere sempre tutte le ultime novità!