Ci sono sensazioni che si possono provare a descrivere con un suono o con un’immagine. Venerdì sera, quando al novantesimo il pallone varcava la riga di porta e regalava tre punti d’oro al Brescia, Flavio Bianchi era già in volata, pronto a buttarsi in mezzo ai suoi tifosi. Basta guardare la sua foto del profilo: lui travolto dall’abbraccio della sua nuova gente. Istinto puro, come i grandi attaccanti insegnano. “Ho sempre ammirato Aguero e Icardi, dato che fisicamente sono simili a me”. Flavio contro il Benevento ha punto entrando dalla panchina, esattamente come aveva fatto la settimana prima in trasferta contro il Modena. Della serie: datemi fiducia io la ripagherò facendo gol. D’altronde in carriera è sempre stato così.
Il viaggio di Bianchi calciatore parte dalle giostre, sparse per l’Italia, dove i genitori lavorano e organizzano spettacoli viaggianti. Flavio li segue sempre, ma mentre sta lì pensa solo al pallone. Basta un piccolo spiazzo, due porte fatte con le felpe e si gioca. Lui ha 10 anni ed è già il più forte di tutti, dribbling, numeri e soprattutto gol. Gli viene naturale, ce l’ha nel sangue. Mentre lo racconta ha la stesso sorriso di quando parla del primo gol in Serie A. Emozioni troppo diverse, che però gli generano lo stesso sorriso. Sono quelle cose indescrivibili a parole, ma che racconti con gli occhi, senza neanche accorgertene.
Per Flavio fare gol in A con il Genoa è stata la chiusura di un cerchio iniziato dieci anni prima. Farlo allo scadere contro l’Empoli ed evitare la sconfitta, è stato il non plus ultra. “Mancava solo che fosse sotto la nord”. Ma poco importa. In rossoblù Bianchi ha fatto tutta la trafila delle giovanili e quando ne parla è come se stesse descrivendo casa sua. Scrigno di ricordi che porterà sempre nel cuore. Su tutte l’esordio a San Siro o il gol contro l’Empoli a tempo scaduto. Sono quelle cose che non realizzi subito, poi fermi, ci pensi e capisci che è tutto vero. Preziosi disse che avrebbe avuto un futuro importante e che era un ragazzo d’oro. Parole di un presidente che lo ha visto crescere fin da piccolo e che con gli attaccanti ha sempre avuto un feeling speciale. Bisognava fidarsi. I gol gli hanno sempre dato ragione.
Adesso il presente si chiama Brescia. Finora ha segnato quattro volte, sgomitando per avere spazio e facendosi trovare sempre al posto giusto al momento giusto quando è stato chiamato in causa. Chiedere a Glik e compagni per conferma, puniti venerdì da un suo guizzo allo scadere. Davanti a lui in attacco ci sono Aye e Moreo, ma Flavio sa come sfruttare al meglio le occasioni a disposizione. Lo ha fatto più volte negli anni: entra, segna e spesso si prende il posto. È una storia che si ripete. È stata una strada lunga, fatta di difficoltà, momenti unici e tante persone incontrate nel cammino. E molte altre ce ne saranno ancora. Dai consigli di Criscito, Behrami e Pandev agli allenamenti con Palacio. “Campioni unici da cui si può solo imparare”. Rubare con gli occhi e provare a prendere ispirazione. A Brescia Clotet gli sta dando fiducia, lo butta sempre dentro e lui lo ripaga facendo gol. È sempre stato così: In C con la Lucchese, in A con il Genoa e adesso in B con il Brescia. Sognando di tornare a San Siro e di segnare ancora in Serie A. D’altronde è la cosa che gli viene meglio, da quando dribblava tutti negli spiazzi durante gli spettacoli viaggianti dei suoi genitori.