"Lo dico e lo dirò sempre: quando calciava lui, il pallone faceva un rumore diverso. Sembra strano, non so come spiegarlo...". Già, difficile comprendere e poi raccontare qualcosa o qualcuno talmente al di là di ogni visione sportiva, di ogni logica calcistica... e umana. Ma, in fondo, la bellezza e il mito sono incertezza, emozione, mistero. Roberto Baggio è stato e continua a essere anche questo. Un privilegio, per noi, averlo ammirato, ma ancor di più per chi, come Giuseppe Colucci, se l'è goduto da vicino. Onori da custodire gelosamente fra le scatole dei ricordi. E oggi che il mito di Roberto si rinnova, il caro e "vecchio" cellulare può trasformarsi in una dolce e veloce macchina del tempo, capace in un istante di riportarci a quasi 13 anni fa quando, dopo una carriera di gol, trofei, lampi accecanti di talento immortale e, nel mezzo, una finale mondiale e un Pallone d'Oro, Baggio si avviava alla fine, a lasciare la storia in mano ad altri.
Brescia, stagione 2003-04. In panchina c'è De Biasi, subentrato a Mazzone, il principale artefice dell'arrivo di Baggio: "Il loro rapporto – dice Colucci, ora dg del Foggia, ma allora ottimo centrocampista delle Rondinelle – non l'ho vissuto in prima persona (Mazzone era già andato via, ndr), ma so che la loro relazione era simile a quella che un padre ha con un figlio. Un connubio perfetto. Anche con De Biasi, però, c'era stima reciproca. Non potevi non averne per uno come lui. Un grande uomo, prima di un grande calciatore". E questo già basterebbe per chiarire a tutti chi era e chi è davvero Roberto Baggio.
Non fermiamoci qui, però. Vogliamo sapere di più, scavare a fondo. Troppa è la curiosità di conoscere il personaggio. E allora, Colucci: che persona era Baggio nello spogliatoio? "Di lui ho un ricordo splendido – racconta a GianlucaDiMarzio.com – e non sono frasi fatte. Nello spogliatoio era una persona straordinaria, sempre pronto a scherzare con i compagni con la sua spalla preferita, Gigi Di Biagio. Ci facevano morire dal ridere. Era uno che sapeva sempre stemperare le tensioni che normalmente in uno spogliatoio possono crearsi. Dico sempre che il calciatore può smettere, ma l'uomo rimane per sempre. Questo è Roberto, una persona immensa, in tutto e per tutto".
Tutto ciò nonostante fosse arrivato a Brescia dopo una carriera leggendaria lo era già da tempo: "Non faceva pesare agli altri il suo passato – continua Colucci –. Si è calato nella realtà di Brescia fin dal primo momento. Ricordo che, a differenza degli altri, iniziava ad allenarsi il mercoledì dato che, a 37 anni e con tutti gli infortuni che lo avevano colpito negli anni, aveva bisogno di più tempo per recuperare. Ma, quando iniziava l'allenamento, non si risparmiava mai. Poi...". Poi? "Eh, poi... lo ripeto e lo ripeterò sempre: quando lo osservavo tirare, sentivo il pallone fare un rumore diverso. Non so come spiegarlo, era fantastico, immenso. Una persona umile, riservata. Era sempre uno degli ultimi a lasciare il centro d'allenamento, anche per sostenere le continue terapie. Ma, una volta andato via, amava stare a casa con la sua famiglia".
Si dice che nulla sia immortale. Eppure, sembra così difficile racchiudere la carriera di Baggio in contorni comuni. Mortali, appunto. Proviamo, però, a volare più in là, a spiegare cosa è effettivamente accaduto il 16 maggio del 2004, durante Milan-Brescia. Il giorno in cui Roberto decise di dire basta. Pochi minuti e il tabellone si illuminava con il suo numero 10. D'un colpo, la commozione avvolse un popolo intero. San Siro si ritrovò senza parole, affidando il suo tributo all'incedere delle mani.
Fu proprio Colucci a entrare al posto di Baggio: "Ricordo – dice – che ero bloccato anch'io dall'emozione, tanto che per entrare in campo feci un piccolo allungo. La partita si è bloccata lì, praticamente non abbiamo più giocato. Guardavamo Roberto camminare lentamente verso gli spogliatoi, era come se il tempo si fosse fermato. Sportivamente fu un dramma per tutti, è stato un momento poetico. Lui è una figura di livello mondiale che ha rappresentato l'italianità nel mondo, ha avuto lo stesso significato che Michael Jackson e Freddy Mercury hanno avuto nella musica. Da tifoso di calcio, però – conclude – se devo scegliere un episodio in particolare, ricordo un Udinese-Juventus (1994, ndr), lui che giocava in maglia gialla. Fece un gol bellissimo, non l'ho mai dimenticato. Il calcio italiano ha avuto tanti grandissimi campioni: Rivera, Del Piero, Totti, Maldini e altri. Ma Roberto lo metto sicuramente sul podio, è stato un orgoglio italiano nel mondo".
Dall'altra parte del telefono si percepisce emozione. Sincera, intesa. E un velo di commozione. Privilegio di pochi, tesoro di tutti. Di chi lo ha vissuto, di chi lo ha visto, e di chi se lo farà raccontare. Anche questo è spiegare cos'è un mito. Tanti auguri Roberto.