Sono passati ormai tanti anni da quel treno perso per Marsala, ma la storia di Patrice Evra insegna che anche un treno perso può rappresentare l’inizio di un bel viaggio. Perché poi, il giorno dopo, quel diciassettenne arrivato a Milano e perso, senza cellulare o riferimenti, quel treno lo prenderà lo stesso e arriverà a destinazione. Fu l’inizio di una parabola che vive oggi la sua (probabilmente) ultima tappa a Marsiglia. Questione di assonanza, ma non solo. Perché il ragazzino diciassettenne cresciuto giocando in strada è diventato uno dei calciatori più vincenti d’Europa, leader riconosciuto dai compagni e uomo impegnato in lotte che trascendono il campo da calcio, come quella al razzismo; ma ha comunque mantenuto quella spontaneità, quella leggerezza: il filo, insomma, non si è spezzato.
JUVENTUS
Nemmeno quando ha lasciato Manchester dopo aver vinto tutto e ha deciso di rimettersi in discussione alla Juventus. Qualcuno lo definiva già un ex-calciatore, sbagliava. Zio Pat lo dimostrerà, sentendosi punto nell’orgoglio. Era una Juventus che dopo tre scudetti consecutivi cercava respiro internazionale, ma che dovette fare i conti con lo tsunami dell’addio di Antonio Conte. Non certo le migliori premesse per Evra. E invece… Il francese prima ancora che leader in campo diventa un punto di riferimento nello spogliatoio. Silenzioso, ma mica tanto. Sempre sorridente ma senza timore quando serviva usare “le cattive” e dire le cose in faccia. Classe e carisma da vendere. Così quella Juve vince ancora, anzi si supera. Oltre lo scudetto arriva anche la Coppa Italia. E poi quell’affare lì. Finale di Champions dopo 12 anni, con Evra che durante l’intervallo della semifinale col Real al Bernabeu trasmette ai compagni, un po’ storditi, la sua sicurezza: «Un gol lo marchiamo sicuro».
Nella stagione successiva Patrice si consacra come leader vero e proprio. A proposito di treni, la Juve in partenza deraglia e si ritrova addirittura quindicesima. E le parole post-Sassuolo risuonano ancora oggi: «Questa non è la Juve. Forse certi giocatori non sono coscienti della situazione, il ritiro è meritato. Sono molto arrabbiato, questo non è il momento di pensare allo scudetto, ma quello che penso ogni mattina è che stiamo buttando via l’opportunità di vincere il quinto titolo consecutivo. Ho un solo messaggio per i miei compagni: rispettare questa maglia». E’ la stagione in cui Evra impara a conoscere il calcio italiano e la Serie A. Quasi un girone dopo quella "sveglia" la Juventus si ritrova prima in classifica e lui, dopo Atalanta-Juventus 0-2 parla così a Sky del campionato italiano: «Io voglio rispondere alla gente che critica tanto il calcio italiano. Io anche a 34 anni sto imparando, perché qui sono preparati alla grande tatticamente. Mentre in Inghilterra è più uno show, come due pugili che se le danno e vince chi si stanca per ultimo. In Italia è come una partita a scacchi, ci vuole più intelligenza che talento». La tocca piano insomma.
RAZZISMO
E di intelligenza ne è dotato Evra, che anche fuori dal campo è sempre stato in prima linea nella lotta al razzismo, lui che ne è stato vittima in campo. Suarez lo chiamò “negro” un bel po’ di volte durante un Liverpool-Man United e per questo fu squalificato 8 giornate. Quando si rividero, fu l’uruguaiano a non tendergli la mano: «Suarez mi chiamò negro per sette volte. Mi hanno tirato le banane, mi hanno ululato dietro, ma non me la sono mai presa: è l'ignoranza di chi ha paura della differenza, posso capirla. Suarez però è un collega e con lui stavo per reagire. Mi chiesi: adesso che faccio, gli do un pugno che farà il giro del mondo, che mi causerà due anni di squalifica, che tutti i bimbi vedranno. L'ho perdonato. L'ho anche votato come il migliore della Premier: al giocatore non porto rancore». Chapeau, Patrice.
I LOVE THIS GAME!
«Ragazzi, sono forse l’unico pazzo che si allena in estate, sono qua e mi sto ammazzando, perché l’anno prossimo voglio vincere la Champions con la Juve e so che lo faremo, perché sto sudando come un pazzo». Aveva da pochi giorni perso la finale contro il Portogallo e postava questo video su Instagram, finito l’allenamento. L’Evra 2.0, social-leader, l’Evra del tormentone I Love This Game!, l’Evra che alle 2 e mezza del mattino trasmette dallo Stadium deserto e dice «Ecco quanto amo questa squadra», l’Evra che accoglie ballando con i figli l’arrivo di Higuain come un tifoso qualsiasi. In un’intervista disse: Il calcio è come una piramide, con la fortuna puoi arrivare al vertice, ma rimanere in quella punta, quello è il più difficile, a 20 anni, 30 anni, 33 anni cerco di rimanere al vertice, la discesa ci sarà, ma voglio che arrivi il più tardi possibile. E oggi, mentre tutti i compagni di squadra, anche quelli appena arrivati, lo salutano chiamandolo “fratello”, mentre la Juve lo ringrazia dedicandogli un hashtag, Patrice forse sa che quella discesa sta cominciando. Va via perché forse lui non può più mantenere la promessa fatta in quel video, ma sapendo di aver lasciato un segno in bianconero. Affronterà questa discesa a Marsiglia, continuando ad amare questo gioco, come quel ragazzino di 17 anni che ha perso un treno e l’ha ripreso, mentre il calcio lo salvava. Ecco, ecco perché ripete così spesso di amarlo.