Exploit, declino, rinascita. Tre parole, chiavi di volta per riassumere la carriera di Alexandre Pato, il Benjamin Button del pallone. Valigia in mano, saluti al Brasile. Cuffiette nelle orecchie e pensieri invadenti. Qualche rimpianto. Ora una nuova sfida? La Lazio chiama. Anzi, Bielsa. Pronti 3 anni di contratto. Il papero riflette. In attesa dell'ennesimo volo di una carriera che doveva dare tanto e invece ha dato meno. Pazienza.
In principio fu il Milan ad aprirgli la porta. Infine il Chelsea. Sei mesi per tornare grande lasciandosi da parte il peso di una promessa rimasta tale. Invece no, non è andata bene. Incompiuto, un'illusione, l'idea di campione che non si è concretizzata. Forse il Papero non è mai maturato per davvero. Chissà. In Brasile, in effetti, ha fatto qualche "marachella" delle sue: il giorno prima di una partita contro il Goias viene pizzicato a un concerto di Beyoncé. Residui melanconici di un ragazzo che anni prima, durante una partita contro la Roma, bruciò Mexes sullo scatto segnando uno dei gol più belli della sua carriera. Perché il problema di Pato - forse - è aver assaporato il successo troppo in fretta. A 21 anni era un top player, perla rossonera da far invidia a mezza Europa. A 24 era già sulla via del declino. Costretto a tornare in patria. Oggi, a 26, cerca il treno del rilancio.
Non ha saputo gestire i riflettori su di sé. Complici litigi, incomprensioni, un carattere fragile, quella "sindrome da Peter Pan" che tutt'ora lo accompagna. Infortuni poi, specie muscolari. Oggi vuole riprovarci, proprio in Italia. Dove l'ultima volta non è andata tanto bene. E in una piazza come la Lazio poi, difficile ma ambiziosa. Tanto talento per Pato, tanti colpi, uno scatto da centometrista. Chiedete ai centrali del Barcellona, fulminati da un'accelerazione all'improvviso in una notte di settembre. Attimi del Papero. Ricci, sorrisi, l'apparecchio ai denti, un sinistro vincente: si presentò segnando un gol al Napoli nel gelo di San Siro, sembrava uno studentello di Liceo. Mimò un cuore con le mani, l'esultanza di una vita che ora non ripete più. Saranno 9 le reti stagionali. Poi 18, 14, 16. Qualche lampo anche in Nazionale, ormai persa da tempo (nel 2013 l'ultima partita).
In un universo parallelo, forse, Pato ha guidato la Seleção ai Mondiali brasiliani impedendo quel 7-1 coi tedeschi. Ha vinto tanto ed è diventato una certezza, non più una promessa. Tutto ciò non è mai successo, ma le aspettative c'erano tutte. Altra stilettata del destino. Infine il ritorno in Brasile, dicevamo. Al Corinthians vince un paio di trofei e sbaglia un rigore col cucchiaio (in porta c'era Dida), chiudendosi anche negli spogliatoi dopo un tentativo d'aggressione da parte dei tifosi. Altro fallimento.
Meglio al San Paolo, dove segna il gol numero 3000 entrando nella storia del club: 39 squilli in due anni, poi il Chelsea per riprendersi l'Europa. E invece no, solo un gol su rigore, all'esordio. Arriva ed è già infortunato. Prese in giro e risatine. La versione 2.0 non decolla. Ora la Lazio per rinascere? L'occasione c'è, Bielsa chiama. C'è una sindrome da Peter Pan da salutare. Pato 3.0, ready to go.