Vent’anni, un mancino che strega, una somiglianza più estetica che tecnica con Paulo Dybala e una smisurata ammirazione per il “Fideo”, Angel Di Maria. Nicolàs Ivàn Gonzàlez, tre accenti sulle “a”, forse un segno del destino.
Perché le squadre italiane gli hanno messo gli occhi addosso da mesi e una è ad un passo dal farlo arrivare nel nostro campionato: l’Inter di Luciano Spalletti, che vorrebbe portarlo via dall’ Argentinos Juniors per potenziare un attacco che profuma già di mate, con Icardi e Lautaro Martinez. Prenderlo subito, magari per girarlo altrove in modo da fargli assaggiare le difese della serie A.
Là davanti, Nicolàs sa giocare ovunque: esterno, più a suo agio a sinistra che a destra, ma anche in mezzo come nell’ultima stagione, la sua prima fra i grandi: 7 gol in 22 partite, biglietto da visita notevole.
Fisico longilineo, 180 centimetri di tecnica, fantasia e personalità, come dimostra la rete decisiva per la promozione dell’Argentinos Juniors contro il Gimnasia de Jujuy a due minuti dalla fine. “Non avrei mai pensato di vivere una gioia così”, disse. E forse non avrebbe mai sperato neanche di segnare contro quel River Plate che da ragazzino lo lasciò andar via dopo qualche giorno in prova.
E invece, nello scorso settembre, ai primi passi nel massimo campionato argentino, ha colpito anche i “millonarios”.
Non si è più fermato, per la gioia della sua famiglia che lo ha spronato quando la strada per la gloria sembrava una salita impossibile. Quando i 60 chilometri che separano la sua Belèn de Escobar, stessa città dei fratelli Zuculini, verso il quartiere Paternal, casa dell’Argentinos Juniors, sembravano infiniti. “Tante volte ho pensato di mollare, per fortuna i miei mi hanno sempre spinto a insistere”.
E così, lui che viene dalla città dei fiori, è diventato il fiore all’occhiello di un settore giovanile abituato a fare sbocciare talenti: da Riquelme a Biglia, passando per Cambiasso e ovviamente Diego Armando Maradona, al quale è intitolato lo stadio in cui il mancino di Belèn de Escobar ha iniziato a farsi conoscere.
Lì, nel mezzo del barrio Paternal, ha saputo convincere un duro come Gabriel Heinze, primo allenatore a credere in lui. Un seguace del Loco Bielsa, votato al gioco offensivo e pronto a dare una maglia a chi merita, senza guardare la carta d’identità. Su quella di Gonzalez, in alto c’è scritto 6 aprile 1998.
Vent’anni e la voglia di spaccare il mondo. Segni particolari: un mancino che stordisce. Ci vogliono una decina di milioni per portarlo in Italia. Non troppi, per un ragazzo già paragonato a Kempes e cresciuto sull’erba di Maradona.