“Seguilo sempre, ovunque vada”: queste le parole che un allenatore avversario di Castillejo ai tempi delle giovanili disse a un suo giocatore. E fu così: lo seguì persino quando si avvicinò alla panchina per bere dalla bottiglietta d’acqua. Un destino: correre più forte degli altri per non farsi braccare. Un destino spiegato bene dal suo soprannome, El fideo, “il fuscello”. Un soprannome che Samu Castillejo, nuovo acquisto del Milan, deve condividere con altri. E già, perché lo spagnolo, esattamente come Angel Di Maria, “El fideo” di Rosario, ha un fisico tutt’altro che statuario. E in un calcio estremamente fisico come quello moderno non è roba da tutti i giorni. Ma Castillejo non è solo snellezza e pochi muscoli. È tanto altro. Dribbling secco, velocità nel corto, grande tecnica e un mancino da stropicciarsi gli occhi. Sgusciante e imprevedibile, può giocare su entrambe le fasce e all’occorrenza da seconda punta.
È cresciuto nel Malaga, e si è messo in mostra sin da piccolissimo. “Chissà se crescerà abbastanza” ci si chiedeva: la paura dei dirigenti delle giovanili era che non riuscisse a mettere i chili e i muscoli necessari per sfondare nel calcio professionistico. E invece non è andata così, per fortuna loro e del giovane canterano che si allenava dribblando tutto ciò che gli si parasse davanti, dai compagni, ai conetti, persino alle bandierine dei campi d’allenamento. Non è andata così, dicevamo. Ma non perché sia diventato un colosso: i 61 chili in 179 centimetri stanno lì a dimostrarlo. Però il talento è stato in grado di superare anche i presunti limiti fisici e i duri colpi dei difensori della Liga, molto diversi da quelli dei giovani coi quali si confrontava nella cantera. L’allenatore della prima squadra, Javi Garcia, fu stregato da quel talentino nemmeno ventenne, tanto da concedergli alla prima stagione da professionista ben 34 presenze in campionato. Poi il passaggio al Villarreal e tre stagioni importanti nel “sottomarino giallo”. Che poi non è solo il soprannome del club ma anche il suo modo di stare in campo. Sempre pronto a scomparire tra le maglie avversarie, per poi riapparire palla al piede e scappar via in progressione. “Ho sempre amato accarezzare il pallone, poi è chiaro che quando diventi un calciatore devi imparare altre cose, ma ho un rapporto speciale con la sfera”.
Dovrà lavorare sulla continuità, in Spagna lo hanno spesso sottolineato, e nella finalizzazione. Segna poco per le sue qualità, così dicono da quelle parti. “El fideo” che dribblava pure i fili d’erba è cresciuto, ma non ha mai dimenticato le partitine nel campetto sotto casa, nel quartiere “La Explanada” di Malaga, quando giocava coi suoi amici dopo la scuola. Non lontano dallo stadio che lo ha lanciato nel grande calcio e che ha dovuto lasciare per i problemi economici del club. Ogni tanto torna a rivedere i luoghi della sua infanzia, con qualche tatuaggio in più ma con gli stessi occhi di quando era un bambino. Quando debuttò gli chiesero se si sentisse la “perla” del Malaga, per via della giovanissima età e delle doti tecniche. “Sono solo un gran lavoratore”, disse, spiazzando tutti. Una risposta che sembra uscita dalla bocca di Gattuso, in una qualsiasi conferenza stampa a Milanello. Il destino, dicevamo. Forse a volte è proprio scritto.