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Data: 22/01/2016 -

Addio... anzi, arrivederci Pepito: Giuseppe Rossi saluta Firenze, 1112 giorni vissuti così

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Difficile raccontare in poche righe cos'è stato il rapporto fra Giuseppe Rossi e Firenze. Incanto ed illusione sono le prime due parole che vengono in mente ripensando al gennaio di tre anni fa. La storia d'amore con la Fiorentina nasce nei suoi USA, lì - in un ristorante di New York - Pepito disse sì alla proposta viola. Un volo intercontinentale portò Pradè e l'entourage del giocatore in America, raccontano che per mettersi d'accordo ci volle pochissimo. Il tempo di guardarsi negli occhi, credersi a vicenda, capire che per entrambi quella sarebbe stata la scelta migliore. La Fiorentina di Montella cercava una stella a cui affidare i propri sogni, Rossi una squadra che credesse in lui in un momento difficilissimo. Il doppio crack al ginocchio, che gli aveva fatto perdere la grande chance del Bayern Monaco, saltare Mondiale ed Europei, rinunciare a tante gare col Villarreal, era quasi alle spalle. Ma Pepito non era ancora un giocatore completamente recuperato ed ecco perché, l'interesse di una squadra come la Fiorentina, lo rese orgoglioso. La scintilla con Firenze c’è stata subito, città da sempre ha amato il talento e l’arte, quella che - “a modo suo”, come il titolo della sua autobiografia - Pepito ha messo nel calcio. Il resto, lo ha fatto il campo. Cinque mesi per tornare a giocare una partita di Serie A, quel Pescara-Fiorentina in cui l’unico sorriso fu il ritorno di Rossi in una gara amarissima per i viola vista la contemporanea vittoria del Milan a Siena che, di fatto, tolse alla Fiorentina la Champions League. Quello spezzone all’Adriatico fu solo l’antipasto, perché d’estate - intorno a Pepito (e a Gomez) - Montella costruisce la sua nuova squadra, che ritrova l’Europa (League) e che era pronta a conquistare di nuovo tutti. Il tridente da sogno, quello con Rossi, il tedesco e Cuadrado, dura solo 161 minuti. Il tempo di una partita di coppa col Grasshopper e di uno spezzone in campionato. Poi Gomez si ferma, stop al ginocchio. Ma Pepito no: trascina la Fiorentina a suon di gol, nel mezzo un 20 ottobre che per Firenze rimarrà nella storia. Da 0-2 a 4-2, in casa, contro la Juventus. Tripletta di Pepito che chiude la gara con le lacrime, sue e dei 40.000 cuori viola allo stadio. Chi era al Franchi, quel giorno, giura che sembrasse crollare da un momento all’altro. Chi in città ne sentiva i boati, la gioia, le esultanze per quella vittoria, non le scorderà mai. L’incantesimo però si spezza, come in ogni bella favola. Gennaio 2014, Fiorentina-Livorno. Contrasto di gioco con Rinaudo, il ginocchio di Pepito si gira e fa crack. Di nuovo. Quello stesso ginocchio che lo aveva tradito due volte in passato, quel ginocchio che da qualche settimana lo aveva costretto a giocare con un tutore. Le lacrime al Franchi, di nuovo. Perché Rossi conosce quel dolore, sa riconoscere quel suono tremendo. La diagnosi non riporta i sorrisi, Pepito resterà fuori quasi tutta la stagione. Stringe i denti, accelera i tempi. Lo fa per un solo obiettivo, il Mondiale in Brasile. C’era stato lì, quando in Confederations era stato il miglior italiano. Ci vuole tornare, perché era il sogno del padre perso troppo presto. Torna e segna con la Fiorentina, a fine campionato fanno 16 in 21 partite. Prandelli lo convoca pure fra i 30 del pre-ritiro, ma alla fine, quando si scelgono i 23 che volano in Brasile, Rossi rimane fuori. Firenze esplode di rabbia, Pepito riesce perfino a mettere la città contro uno degli allenatori più amati. Ma purtroppo, il tempo, dirà che il ct aveva ragione. Troppo fragile il ginocchio di Pepito, in estate decide di dare di nuovo problemi. Perde tutta la scorsa stagione, ed è forse questo - per lui - il momento più brutto. A Firenze qualcuno comincia a criticarlo: “Eh, ma è sempre negli Stati Uniti”, “Mangia troppo”, “Non fa gruppo”. A fine stagione cambia tutto: via Montella, dentro Sousa. Il portoghese lo studia, lo osserva, vuole capire se può puntarci davvero. Alla Fiorentina studiano un programma tutto per lui, fra massaggi, yoga, pilates, sedute personalizzate, potenziamento muscolare. Già, i muscoli. Così necessari per tenere in piedi un ginocchio così malandato, eppure così controproducenti per il suo stile di gioco. Sousa lo dosa, lo impiega con cura e moderazione. Prima pochi minuti, poi via via a salire. “Non ha più la brillantezza di prima”, sospira Firenze. “La squadra viaggia su un altro livello” sentenzia il portoghese dopo una partita, quella contro il Sassuolo, in cui Rossi parte titolare ma fatica, non trova guizzi, non ritrova se stesso. Lo sa anche lui, gli si legge negli occhi quando sconsolato si siede in panchina. Ancora, forse, non sa che quella sarà l’ultima da titolare in maglia viola. Non sono bastati i gol in Europa League, le tante ore sul campo per recuperare e conquistare Sousa. “Troppo poco spazio, e poca continuità” scrive Rossi in un tweet di risposta ad una tifosa nel giorno del suo addio a Firenze. Anzi, “un arrivederci” confessa lui stesso. Lo aspetta la Spagna, là dove tutto era esploso. “Ha salvato il Parma da solo una volta, ci proverà col Levante” ha detto il suo agente. Prestito fino a giugno, poi riscatto con la sinergia del Levante. Ma la Fiorentina può decidere di riprenderselo, era l’unica condizione per accettare la sua partenza. Dispiace sia finita così, dispiace a Rossi, a Firenze e alla Fiorentina. Chi aveva ragione? Lo dirà il tempo. Ma l’applauso di 15 tifosi all’uscita dal suo ultimo allenamento in maglia viola riporta al tripudio di quel 20 ottobre. E chissà se - a modo suo - Pepito tornerà davvero.


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