Abascal, dalla Masia alla Svizzera: giovane fuoriclasse della panchina
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Data: 08/09/2018 -

Abascal, dalla Masia alla Svizzera: giovane fuoriclasse della panchina

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29 anni, secondo allenatore più giovane nelle prime divisioni europee: la storia di Guillermo parte da...attaccante mancato. A raccontarcela è direttamente lui, dopo aver vissuto i tempi della Masia insieme a Iago Falque e Jordi Alba: ciò che gli ha cambiato mentalità e vita, portandolo alla panchina del Lugano. Sognando l'Italia...
29 anni, secondo allenatore più giovane nelle prime divisioni europee: la storia di Guillermo parte da...attaccante mancato. A raccontarcela è direttamente lui, dopo aver vissuto i tempi della Masia insieme a Iago Falque e Jordi Alba: ciò che gli ha cambiato mentalità e vita, portandolo alla panchina del Lugano. Sognando l'Italia...
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L'Italia, tra modelli e sogno nel cassetto





"Avevo già parlato con la Juventus, della chance di allenare la Primavera o la Seconda Squadra in caso decidessero di farla, poi però è arrivato il presidente del Lugano Renzetti che devo ringraziare tanto: andare lì in quel momento non sarebbe stata la situazione più bella possibile, mancavano 8 partite ed erano a +1 sull’ultima classificata, in grossa difficoltà. Magari si poteva pensare fossi solo un traghettatore, invece il finale di stagione è andato bene, ci siamo salvati dopo 4 partite: il Presidente ha avuto da subito fiducia in me".

Rifarsi a Guardiola ("E' un vincente e ha vinto tutto, ma con il suo modo di vedere il calcio, vincendo anche altrove rispetto a Barcellona") apprezzando anche una qualità in particolare di Spalletti, incontrato giovedì ad Appiano per assistere ad un allenamento ("Ciò che mi ha colpito è soprattutto come sta in campo, la sua tranquillità, il modo in cui parla ai suoi calciatori"), passando poi per il suo modo di fare calcio, contrapposto alla propria indole originaria: "Il Barça mi ha colpito, e io sono spagnolo di Siviglia, sanguigno, ho intensità. Ma mi considero un allenatore cui piace giocare a calcio con il pallone, si attacca e si difende con la palla per me, ovviamente avendo i calciatori con le caratteristiche adatte a questo. Se hai il possesso e puoi aggredire l’avversario va bene, ma avercelo tanto per averlo non serve a nulla: non farò mai un allenamento in cui un calciatore non abbia l’obiettivo di attaccare lo spazio, di difendere alto. Difendere per difendere, chiudere le linee tanto per chiuderle non ha senso: mi piace chi si prende la responsabilità, che accettano il duello, chi vuole intensità e il ritmo alto".

La sua Siviglia è oggetto di un paio di incroci in chiave Milan in questa stagione, tra André Silva e la nuova avventura e l'ostacolo Betis di Quique Setién: "André Silva? Sicuramente qui ha fatto fatica, ma in Spagna il calcio è diverso: quando ti vien dato il pallone devi farlo tornare nel miglior modo possibile, e lui ha qualità e visione di gioco importante. Negli ultimi metri può anche trovare passaggi intelligenti per smarcare i compagni, è il tipo di attaccante a fare la differenza in quel tipo di calcio: e in una squadra come il Siviglia, con Vazquez, Banega e Sarabia dietro, può far bene. Il Betis, invece, è cresciuto tanto: vogliono avere sempre il pallone, superare gli avversari linea per linea. Hanno iniziato l’anno scorso con tantissimi dubbi, ma sono cresciuti: se il Milan non difende bene e si fa superare dal Betis con il possesso, può soffrire tanto. Se il Milan invece si difende bene e lascia far girare palla al Betis, chiudendo le prime linee di passaggio, sicuramente poi in ripartenza può fare bene: quando si scoprono, fanno fatica a difendersi".

Giovane, spagnolo…un po’ come Velazquez, a sorpresa (anche per Abascal) nuovo allenatore dell'Udinese. "Lo conosco perchè ha allenato il Betis ed è della scuola Villarreal, molto caratteristica per quanto hanno fatto con Marcelino ed altri allenatori da quando c’era Pellegrini prima: fanno un gioco di tante combinazioni e lavorano parecchio sul “rondo” (il torello), crescendo con questo. Di solito hanno fatto sempre 4-4-2 senza inventarsi niente e con qualche tipo di centrocampista diverso, dando tanta intensità, passo e tecnica. Non me lo aspettavo qui in Italia: ho lavorato con persone che erano al Granada, quando era ancora legato all’Udinese, e mi ha sorpreso: devo osservarlo bene qui per vedere come andrà. Se ti sai adattare alla realtà dove vai, con intelligenza, portando anche il tuo lavoro e facendo un buon mix, così puoi uscire vincente: per noi allenatori spagnoli non è semplice comunque adattarsi al calcio italiano, e potrebbe essere normale fare fatica. E’ un allenatore giovane e intelligente, spero che possa far bene".

Partita con un sogno, conclusa con un sogno. Alla fine della nostra chiacchierata, cosa frulla nella mente di Guillermo Abascal Pérez per il proprio futuro? "Non sogno uno di quelli che vorrebbe il Barça, il Real, la Juventus…ma sogno di arrivare dove il calcio mi permetta di lavorare, che necessita tanto di un ambiente positivo e con un tifo caldo. Il sogno sarebbe fare il salto in Italia, non vorrei tornare in Spagna: per me potrebbe darmi tanto e potrei crescere tanto. Ho vissuto nuove esperienze e nuovi concetti, nuovi principi e nuovi modi di lavorare: un allenatore non può dire di aver fatto calcio senza aver allenato almeno una volta in Italia, soprattutto per una persona innamorata della tattica come me. Vorrei imparare ancora e crescere con le vostre idee". AMAscal, stavolta. Come quel bambino capace 15 anni fa, in quell'universo blaugrana che gli ha cambiato la vita, di sentirsi grande anche quando era piccolo.

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