Quattro campionati, cinque squadre e un sogno raggiunto. Federico Fernandez ha 31 anni, un passato importante in Serie A con i colori di Napoli, un breve passaggio in Spagna e quel sogno della Premier League che è riuscito a raggiungere. “Sto bene qui, ho conosciuto tanti compagni forti e un campionato fantastico. Ma che brutto giocare senza pubblico: sembrano tutte amichevoli del giovedì” racconta il difensore argentino ai microfoni di Gianlucadimarzio.com un attimo prima di infilare le scarpette e scendere in campo per l’allenamento del Newcastle di cui difende i colori ormai da tre stagioni.
E lo fa parlando un fluente italiano, imparato tra le strade del paesino in cui è nato e nelle stagioni passate con l’azzurro: “Il vostro Paese me lo porto nel cuore: la mia famiglia è originaria di Lacedonia (Avellino), un piccolo paesino che ho anche visitato quando giocavo a Napoli. È stato bello conoscere persone che ancora ricordavano i miei nonni. Mi piace tenere viva la mia parte italiana, sento ancora tanti amici che ho conosciuto lì e mio padre spinse per il doppio passaporto già prima del Napoli per non dimenticare le mie radici”. Napoli, insomma, fu una scelta del destino. “Forse sì, ma scelsi di venire in Europa perché era un obiettivo e il Napoli mi convinse. Parlai con Bigon e fu molto persuasivo, il club mi voleva con convinzione, vennero anche in Argentina a conoscere la mia famiglia quando ancora giocavo all’Estudiantes…”
Eppure il finale non fu dei migliori. “Per tanti motivi ma non ho alcun rimorso. La Premier era un sogno e Benitez - che è stato importante dentro e fuori dal campo - mi disse che era perfetta per me, così decisi di andare. Ma Napoli non la dimentico, avevamo una squadra fantastica e ci divertivamo. Mazzarri era un pazzo: una volta, dopo un errore sciocco in rifinitura, lasciò il campo gridando che non eravamo pronti a giocare la partita. Non lo vedemmo più tornare dagli spogliatoi” ricorda col sorriso. “Dopo tre anni dalla cessione, tornai a Napoli per qualche giorno di vacanza e per strada alcuni bambini mi riconobbero. Ma com’è possibile? Avranno avuto dieci anni. Ecco, io tifosi come a Napoli non ne ho mai visti. Quando vincemmo la Coppa Italia entrarono in campo e mi strapparono via la maglia: ogni tanto ci ripenso, chissà dove è finita quella maglia”.
Una carriera passata anche per la maglia albiceleste della nazionale e quel maledetto - per gli argentini - Mondiale 2014 che nessuno vuole ricordare. “Ma porto con me il meglio di quell’avventura. Nel 1998 ero a scuola insieme agli altri bambini e ci facevano vedere le immagini del Mondiale di Francia. Sognavo di poterne giocare uno un giorno e quando andai in campo all’esordio in Brasile pensai ai bambini che, da scuola, ci stavano guardando alla tv. Un sogno e una sensazione che non si può spiegare”. E in Argentina, magari, potrà tornare un giorno, proprio come quel Veron con cui ha diviso gli anni all’Estudiantes. “Per ora penso al Newcastle e voglio giocare ancora a lungo qui in Europa. Veron è stato un esempio per me, una figura fondamentale: dividere lo spogliatoio da ventenne con un campione così che ti spingeva a dare il massimo e ti consigliava ogni giorno come crescere è stato importantissimo.