O
Rey, A Perola Negra, 'Patrimonio
Nazionale'.
Semplicemente
Pelè. Un
10 sulle spalle e la magia nei piedi. Artista del futebol,
dal
pallone 'costruito' con calzini e giornali vecchi – pur di giocare!
- fino al Pallone
d'Oro;
dai
primi guadagni come aiutante nei negozi di thè, alla fama di
giocatore più pagato del mondo. Celebrato e chiamato in ogni modo.
Lui,
figlio
d'arte perché
anche papà Dodinho giocava a calcio, cresciuto con l'amore di mamma
Celeste. Non una famiglia ricca la sua, ma con l'intuizione giusta
che per quel bambino, che dava i primi calci a un pallone per strada,
il futebol
poteva
diventare molto più di una passione. Quel bambino che a 10 anni,
dopo aver assistito al Maracanaço,
sussurrò:
“Non
preoccuparti papà, un giorno la vincerò io la Coppa del Mondo”. Uno
che, dopo il terzo Mondiale vinto è stato celebrato come nessun
altro dal Sunday Times: “How do you spell Pelè? G-O-D”.
La sua storia è iniziata in una piccola città del Brasile (Tres Coracoes) ed è arrivata ovunque. Troppo facile dire 'fino alla Luna', proprio oggi, 19 novembre. Una data speciale. Una pietra miliare della sua carriera. Era il 19 novembre del 1969 e Pelè segnò O Milesimo. Il gol numero mille in carriera. Un traguardo raggiunto su rigore – anche se lui le reti dagli undici metri le considerava 'vili' – contro il Vasco da Gama. Un giocatore, un campione di un altra dimensione, di un altro pianeta. Nel giorno in cui l'uomo raggiunse la Luna per la seconda volta nella storia.
Doppio manifesto della grandezza dell'uomo, due imprese compiute nello stesso giorno. Romantico, il paragone. Pelè sull'Olimpo della storia del calcio, Conrad e Bean sul suolo lunare. La missione di Pelè e quella dell'Apollo 12. Compiute. 'A Lua, O Gol'. La luna, il gol.