Il 20 febbraio del 1992 nasceva ufficialmente la Premier League. Ne facevano parte 22 squadre, di cui 19 della ex "First Division", come si era chiamata fino a quel momento la prima serie inglese, e le rimanenti 3 neopromosse dalla Second Division. La prima edizione sarebbe cominciata nell'agosto di quell'anno, e l'avrebbe vinta il Manchester United di Teddy Sheringham.
Quella decisione dipendeva dalla volontà dei cinque top-club della First Division di affrancarsi da un modello che era ritenuto poco remunerativo, e di crearsi una immagine rinnovata dopo i traumatici (e drammatici) anni Ottanta, segnati dal fenomeno degli Hoolingans, che aveva portato addirittura alla decisione di escludere i club dalla partecipazione alle coppe europee.
Trent'anni dopo, non solo le squadre inglesi sono tornate a disputare le coppe, le dominano. Lo scorso anno, tre delle quattro finaliste di Champions (Manchester City e Chelsea) ed Europa League (Manchester United) venivano da Oltremanica. Nel 2018, addirittura l'en plein: 4 su 4. I migliori giocatori al mondo, gli allenatori più aggiornati popolano un campionato che assomiglia sempre più a un "laboratorio" permanente, attraverso cui inesorabilmente transita ogni cambiamento.
Una "Superlega" ante-litteram
Nel 1992, l'obiettivo dei top-team (Manchester United, Liverpool, Everton, Arsenal e Tottenham) era quello di massimizzare i ricavi, in vista di un'assegnazione dei diritti televisivi in occasione della quale non si voleva condividere i proventi con i club della Second Division. Una sorta di "SuperLega" ante-litteram. A trent'anni di distanza, si può affermare senza tema di smentita, sulla base dei risultati economici e di quelli sportivi, che l'obiettivo è stato raggiunto.
Ha collaborato Antonio Salomone.