Tra le virtù più apprezzabili di un giovane calciatore, c'è di certo la pazienza, materia rara. In questo, Julian Brandt può già considerarsi un professionista. 20 anni a breve, al Bayer Leverkusen le ha già viste di quasi tutti i colori: il nero della crisi, il rosso della rabbia, il verde della speranza. Ha giocato in Champions League (gironi e fasi finali), ha totalizzato già 90 presenze nel campionato tedesco, ha segnato il suo primo gol tra i professionisti a 17 anni. Insomma: è un giocatore precoce, ma fatto e finito.
Record a parte, ha avuto la grande capacità di esser stato paziente, di aver saputo aspettare il suo momento. Che sembra arrivato, finalmente. Da due anni e mezzo fisso in prima squadra, ha sempre messo in vetrina giocate di alta classe, nonostante la carta d'identità reciti maggio 1996. Soprattutto, però, ha avuto il buon cuore di saper accettare la panchina, accettare le gerarchie di un gruppo che di gioventù si nutre ormai da tempo. Dentro-fuori, dentro-fuori: 90 partite così, a singhiozzo. È stato il più giovane nella storia delle Aspirine ad aver raggiunto le 50 presenze in Bundesliga, da tempo ricoperto di onori e oneri ma mai chiamato in causa con vera continuità.
Il 2016 per Brandt sembra però poter segnare un crocevia importante: Roger Schmidt, saggio e paziente quanto il ragazzo, ha deciso di lanciarlo una volta per tutte. La risposta? Quella attesa: sei partite da 90', tre gol e tre assist. Corre, si sacrifica, fa il bello e il cattivo tempo sulla fascia: non si ferma mai. Per sbocciare ha trovato la stagione giusta, insieme a terrificanti compagni di ruolo come Çalhanoglu, Bellarabi e Chicharito. A quanto pare solo le premesse di quanto vedremo dall'anno prossimo, quando il posto lo avrà fisso. Rincorso per più di due anni, guadagnato da signore. Lo si può essere anche a 19 anni.