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Data: 21/11/2016 -

100 volte Quagliarella, Novellino racconta: "L'amore a prima vista, l'idea finto esterno e il segreto dei suoi gol matti: ecco il mio Fabio

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Da Ascoli a Genova, passando per Udine, Napoli e Torino (granata prima e bianconera poi). 100 volte Quagliarella, dal primo gol in A al Treviso al numero cento del lunch match del Ferraris, quello che ieri ha dato il via alla pazzesca rimonta della Sampdoria col Sassuolo. A Marassi come al Del Luca, ad esultare per le magie di Fabio undici anni dopo ancora lui, Marco Giampaolo. "Uno dei primi allenatori a scoprirmi, con lui ho segnato la mia prima rete e anche la centesima: è una cosa straordinaria. E poi mi ha sempre spronato, anche quando le cose non andavano al meglio: lo ringrazio" le parole a traguardo appena conquistato del quarto 'centenario' in attività della Serie A (davanti a lui solo l'irraggiungibile Totti, Gilardino e il compagno Antonio Cassano).

Felice, visibilmente emozionato. E riconoscente. "Perché Fabio prima di essere un grande giocatore è un grande uomo". A parlare è chi l'allora ragazzino col ventisette sulle spalle l'ha fatto esplodere. "Arrivava dalla stagione di Ascoli, proprio quella con Giampaolo in panchina. Avevamo giocato una partita con loro e mi era piaciuto subito - racconta Walter Novellino a GianlucaDiMarzio.com, ex allenatore dell'attaccante nella prima esperienza alla Sampdoria - con Asmini, Marotta e Paratici abbiamo subito voluto provare a portarlo a Genova". Detto fatto, dopo trentatré presenze e tre gol nelle Marche Quagliarella sbarca all'ombra della Lanterna. "Dove c'erano già Fabio e Francesco" (Bazzani e Flachi). Due che in quegli anni nella Sampdoria era difficile non vedere partire dall'inizio.

"Ma Quagliarella era forte davvero ed era un peccato lasciarlo fuori". Averne di questi problemi, c'è da trovare una soluzione. "E sai che ho fatto? Ho iniziato a provarlo esterno destro nel 4-4-2, volevo sfruttare la sua velocità e farlo giocare in quella zona del campo, con uno dall'altra parte meno offensivo. Con Bazzani, Flachi e lui finto esterno pensavo potessimo fare qualcosa di bello". Quel lavoro però Fabio non lo ha nelle corde. "Eppure ora a trentatré anni corre ancora come un matto. - scherza Novellino - Onestamente quel lavoro non era di suo gradimento". Non che non lo volesse fare eh, sia chiaro. "Fabio è sempre stato un professionista esemplare". Poche le parole ai compagni, a parlare per lui lasciava che fosse il campo. "Ma legava con tutti, nonostante la giovane età era già un ragazzo da spogliatoio".

Di correre sulla fascia però non se ne parlava proprio. "Non lo sentiva un lavoro suo. E mi sa che aveva ragione lui ". Sorride ancora Walter. Che complice un infortunio a Bazzani e le vicende extra campo di Flachi lo lancia come attaccante facendone il titolare. "Dove ha trovato la sua posizione". Caratteristiche? "Tiro, tecnica, velocità di esecuzione, bravo anche di testa, Fabio era già un attaccante completo". Quasi, mancava ancora qualcosina. "Eh già, perché lui coi piedi ci sapeva fare, - racconta ancora chi il traguardo dei cento gol in Serie A di Fabio lo sente (giustamente) anche un po' suo - ma a trovare la porta da qualunque posizione lo abbiamo aiutato noi". Eccolo l'aneddoto legato ad oltre un decennio di magie. "È una storia molto bella e importante. Avevo un amico dottore, che adesso purtroppo non c'è più. Mi insegnava le metodologie di lavoro per i tiri in porta, ed io le mettevo in pratica a Bogliasco".

Quagliarella da solo in mezzo al campo, spalle alla porta. "Mettevamo delle bandierine colorate sulla porta, per farla vedere meglio a Fabio. Come gli davamo il pallone, lui si girava, vedeva i colori e poi doveva solo pensare a calciare e prendere le bandierine". Una, dieci, cento volte. "Alla fine non c'era nemmeno più bisogno che ci mettessimo li a lavorare con lui. Si cambiava, prendeva palloni e bandierine e da solo si metteva a tirare". Eccolo il segreto delle tantissime magie che l'attaccante ha regalato in questi ultimi undici anni di Serie A. "Ha imparato talmente bene questa cosa che ha fatto dei gol fantastici".

Vero, ma il più bello? "Per me sono stati tutti bellissimi, ma quello che ricordo con più affetto, essendo stato credo l'espressione e l'insieme di tutto il nostro lavoro, è stato quello contro il Chievo". Rilancio di Berti, spizzata di Bazzani. Tocco di prima di Volpi per Quagliarella, stop di petto e destro da centrocampo alle spalle di Squizzi. "Lì c'era tutto il lavoro fatto durante la settimana, che gol pazzesco. Quelle giocate Fabio le ha sempre avute nel dna, noi gli abbiamo dato solo quella tranquillità nel vedere la porta. Non c'era poi bisogno che calciasse forte, doveva solo trovare fiducia nelle sue giocate, e ne ha fatte tante". Merito anche di Walter Alfredo Novellino. "Sono orgoglioso di averlo allenato, e di avere in parte contribuito a quanto di bello ci ha regalato - sorride l'allenatore riavvolgendo il nastro dei ricordi -. Fabio è uno di quei ragazzi, lui come Maggio, Tonetto, ai quali ho dato tutto".

La felicità lascia spazio a un pizzico d'amarezza. "Non ho mai avuto dubbi che Fabio sarebbe diventato un grandissimo calciatore, l'unico dispiacere legato alla sua carriera è che a Napoli, dove ha dato molto e dove teneva a fare bene essendo lui napoletano, non l'hanno capito. Fabio è un ragazzo sensibile, sono contento però ora stia facendo bellissime cose". Assieme a un altro ragazzo dalle qualità indiscutibili. "Muriel è incredibile, non riesco a capire come certi allenatori lo tenessero fuori. La loro intesa? Gran parte del merito va a Giampaolo, un allenatore che viene dalla mia stessa scuola, quella della cultura del lavoro, e che un presidente al quale va detto bravo come Ferrero ha lasciato lavorare. Poi loro sono due giocatori straordinari, si completano alla perfezione. Basta vedere il gol di ieri di Luis, qualsiasi giocatore in quell'occasione avrebbe tirato. Quagliarella invece è uno che pensa prima alla squadra, è sempre stato così, l'egoismo non fa parte del suo bagaglio".

Tecnica, gran tiro. Velocità, un po' di pazzia e... tanta voglia di farcela, invece, quello che nel borsone di Fabio tra scarpini e calzoncini non è mai mancato. "E quanto ha fatto in carriera è tutto merito suo. Ha carattere, è sempre stato uno che voleva arrivare, che sapeva quello che voleva. Per raggiungere i suoi obiettivi ha fatto anche scelte non semplici, poteva accontentarsi ma ha deciso di rimettersi in gioco e c'è riuscito. Anche tornare alla Sampdoria, i ritorni spesso non sono mai come li si vorrebbero, invece quello a Genova è stato un grande ritorno e sono felice per lui. Sarebbe bellissimo se, come ha detto in settimana, potesse chiudere la carriera lì. Alla Sampdoria si sta bene". Ora la voce si tinge appena di malinconia. "Se ho in programma un salto a Genova? Non torno mai nelle città dove ho vissuto bene - Walter torna a sorridere - ma un giorno farò una sorpresa". Non adesso però. "Ho ancora voglia di allenare". E di insegnare. C'è ancora ancora qualche giovane Quagliarella da mettere spalle alla porta, bandierine in lontananza. Un sogno nel cuore, lo stesso di Fabio. E i sogni, se li insegui, possono diventare realtà.



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